Sono passati cinquant’anni da quel terribile 11 settembre, quando Salvador Allende, democraticamente eletto Presidente del Cile, veniva rovesciato da un golpe finanziato dagli USA e guidato dal Generale Augusto Pinochet. Si era insediato il 3 novembre 1970 e nei tre anni del suo mandato aveva avviato il Cile sulla strada del socialismo. Un socialismo democratico, all’avanguardia nei tempi e nelle modalità, che aveva il sostegno di milioni di cittadini cileni.
Il bilancio del massacro fu di almeno 30mila morti e 600mila torturati, con Allende morto suicida. Finiva così la parabola del primo socialista eletto democraticamente in Sud America, che tentò di instaurare una democrazia socialista in modo non violento e nella completa legalità. Troppo di sinistra per gli americani, troppo libertario per i sovietici, un modello invece per i comunisti italiani e per chi rifiutava “il Paese” e il “Partito” guida. Cosa resta, cinquant’anni dopo?
Allende, così cambio la storia
Il golpe in Cile mutò radicalmente la politica internazionale; mutò soprattutto la politica del Partito Comunista Italiano, con un Enrico Berlinguer che si trovò drammaticamente di fronte alla prospettiva che qualora anche avessero vinto alle elezioni, socialisti e comunisti sarebbero stati spazzati via da un golpe analogo (e i documenti desecretati di USA e UK sull’opzione di “spaghetti italiani in salsa cilena” ce ne danno ora la prova per iscritto).
Non solo: il Cile divenne la cavia su cui Milton Friedman e i suoi “Chicago Boys” avrebbero sperimentato quelle politiche neo-liberiste estreme che poi sarebbero divenute il fulcro della destra reazionaria della Thatcher e di Reagan all’inizio degli anni ’80. Se al centro della politica allendiana vi era la tutela delle comunità urbane e rurali più disagiate, i contadini, gli operai, gli studenti, Pinochet andò al potere con la promessa di fare gli interessi di medi e grandi imprenditori affiliati al capitale estero, delle oligarchie locali e di imponenti gruppi finanziari, instaurando un sistema politico e sociale fortemente reazionario e patriarcale.
Il fatto che il Cile si trovi ancora a dover fare i conti con ben più di un residuo dell’eredità del regime, la dice lunga sull’impatto che ebbe sulla vita del popolo quell’esperimento economico e politico.
Il Cile, così lontano, così vicino
Cinquant’anni dopo il sacrificio di Allende una cosa va tenuta bene a mente: la democrazia e la libertà non sono conquiste perenni. Nonostante quel che dicono certi intellettuali nostrani, lo svuotamento delle istituzioni repubblicane e delle forme di democrazia e partecipazione è evidente. Viviamo un periodo storico estremamente pericoloso, dove le classi dominanti, come cinquant’anni fa, si opporranno con qualsiasi mezzo a loro disposizione per impedire che le cose cambino.
Partono avvantaggiate dal fatto che un reale pericolo come Allende o Berlinguer non c’è più da nessuna parte, considerato che la Sinistra in tutto il mondo ha ben deciso per decenni di inseguire il neo-liberismo anziché dotarsi di una moderna e aggiornata concezione del “Sol dell’Avvenire“. Con l’unico risultato di avere una distribuzione mondiale della ricchezza sempre più ottocentesca e una disaffezione nei confronti della politica che colpisce oramai più la Sinistra che la Destra.
Qualcosa però sta cambiando. E come disse proprio Allende, nel suo ultimo disperato messaggio al popolo cileno:
La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine. Questa è una tappa che sarà superata. Questo è un momento duro e difficile: è possibile che ci schiaccino. Ma il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.
Ricordiamocele sempre queste parole. Soprattutto nei momenti in cui tutto sembrerà perduto.