Il “Quinto Stato” dell’astensione

Altro giro di elezioni, altro record di astensione. Se con il Quarto Stato Pellizza da Volpedo rappresentò il corteo del proletariato che marciava rivendicando i propri diritti, oggi ci troviamo di fronte ad un quadro vuoto: il “Quinto Stato” degli astenuti.

Alle elezioni regionali in Liguria il 54% dei liguri è rimasto a casa. Alle elezioni politiche del 2022 gli astenuti in Liguria (e in Italia) erano stati il 36%, mentre alle scorse elezioni regionali del 2020 erano stati il 47%.

Perché così tante persone si astengono?

Cosa porta più di un cittadino su due a non riconoscere la procedura del voto come un elemento importante e impattante sulla propria vita?
Il senso comune porta in tanti a considerare gli astenuti come persone affette da menefreghismo.
Di qui la frase ricorrente “se non voti, non puoi lamentarti”.

Gli astenuti sarebbero quindi persone non in grado di comprendere l’importanza del voto e le differenze tra gli schieramenti politici. In pratica degli analfabeti politici.


Questa visione molto diffusa non si interessa realmente di capire perché le persone non votano, ma permette di dare una risposta semplice e immediata a coloro che, trovando nella pratica del voto l’essenza della loro vita politica, non riescono a spiegarsi l’astensione, le cui cause e radici sono molto più complesse.

Più la società è diseguale, meno vota

La letteratura è concorde sull’impossibilità di trovare una causa specifica dell’astensione. Tanti diversi fattori concorrono nell’allontanare i cittadini dalla vita politica. Le disuguaglianze materiali e immateriali in profondo aumento hanno giocato un ruolo cruciale, specialmente con il venir meno della coscienza di classe e con essa l’identificazione delle classi sociali in determinati partiti: sempre più studi (Bolise, Chironi, Pianta, 2019) hanno individuato una relazione tra l’aumento delle disuguaglianze e l’aumento dell’astensione.

Altre variabili determinanti nell’astensionismo sono il benessere economico, il livello di istruzione, la quantità e la qualità delle reti sociali, l’età e la fiducia nelle istituzioni politiche che varia in base alla trasparenza, all’efficacia e agli scandali politici (Chiesa, Manaresi, Gobbo, Rizzi 2024).


Analizziamo velocemente la situazione italiana in riferimento a queste condizioni appena elencate.
Per quanto riguarda la situazione economica osserviamo che le famiglie in povertà relativa in Italia sono il 10% delle famiglie italiane (oltre 2,6 milioni di famiglie). Il 43,5% dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro nel 2022 sono stati attivati con contratti precari (Inapp). Nel 2011 la quota era ferma al 18,7%.

Un lavoratore su dieci è un lavoratore povero (meno di 950€ al mese) e un lavoratore su quattro ha un salario basso, ovvero un salario inferiore al 60% della mediana nazionale, con perdita sempre maggiore del potere d’acquisto.


Una delle variabili più determinanti è la qualità delle reti sociali che in Italia risultano ogni anno più fragili. Gli italiani sono sempre più soli: nel 2022 solo l’11% degli italiani nel tempo libero incontra gli amici tutti i giorni, nel 1993 erano il 28% (ISTAT). Tra i giovanissimi la soglia passa dal 72% (1993) al 31% (2022).


Gli italiani sono anche profondamente insoddisfatti: secondo un rapporto di Censis il 66% degli italiani esprime insoddisfazione nei confronti della società in cui vive. La percentuale sale al 72% tra i giovani.


Questo dato si collega al fatto che il 48% degli italiani sente di contare poco nell’ambiente in cui vive, percentuale che sale al 60% tra i giovani.
Siamo anche uno stato che invecchia rapidamente. Ciò comporta effetti collaterali importanti: più di un nucleo famigliare su tre in Italia è composto da una persona singola. Di queste famiglie, 3,5 milioni sono composte da over 70.
Per quanto riguarda la fiducia nelle istituzioni, secondo Transparency International, l’Italia sarebbe il peggior paese dell’Europa Occidentale nell’indice di percezione della corruzione.

Questa panoramica ci è utile per entrare nella vita delle persone e immedesimarci nelle loro scelte, specialmente quella di allontanarsi dalla vita politica. Ciò accade quando la classe politica viene percepita distaccata, indifferenziata, inefficiente e corrotta, con pochi elementi di innovazione e di discontinuità, spesso destinati ad esaurirsi rapidamente.

Gli astenuti non sono tutti uguali

Esistono tanti tipi diversi di astensione. Secondo un’analisi dell’Istituto Cattaneo sulle elezioni parlamentari del 2018 un astenuto su quattro (25%) non riuscirebbe a votare per “cause di forza maggiore”. Uno su cinque (21%) non vota per sfiducia, il 13% per disinteresse, il 12% per protesta e il 9% per indecisione.


È interessante notare come gli astenuti non siano una massa di persone acritiche e spoliticizzate: solo il 13%, infatti, non vota per disinteresse. Tutti gli altri esprimono un grave disagio in riferimento all’offerta politica. Queste persone si sentono deluse e tradite dalla classe politica passata e vigente. In alcuni casi i candidati appaiono talmente poco identitari e così simili tra loro che non si percepisce l’utilità di andare a votare l’uno o l’altro.


Occorre focalizzarsi anche su quel 25% di astenuti che non riescono a votare per cause di forza maggiore, probabilmente logistiche. Questo dato fa sorgere necessariamente il tema di rendere la procedura del voto più accessibile a tutti, iniziando da studenti e lavoratori fuorisede che complessivamente ammontano a 5 milioni di persone in tutto il paese.

Combattere l’astensione conviene?

Gli astenuti sono da anni il primo partito di ogni elezione e questo sembra incredibilmente non turbare la classe politica, indisposta a qualsiasi analisi di coscienza e molto restia a rinnovarsi nell’identità e nei contenuti.

Qualsiasi ricetta politica dei partiti tradizionali per ridurre l’astensione, non partendo da presupposti autocritici e innovativi, è fallita o si è esaurita velocemente. Sempre che ci sia mai stato davvero l’interesse a combattere l’astensione. Non è scontato: l’astensione, infatti, può giocare a favore delle organizzazioni capaci di mobilitare sempre i soliti voti, come i comitati elettorali dei c.d. “Mr preferenze” e le organizzazioni mafiose (che spesso portano in dote ai primi i loro pacchetti di voti). La conferma arriva da alcune intercettazioni risalenti ad ottobre 2020 durante le elezioni comunali di Reggio Calabria.

Giuseppe Falcomatà, il vincente candidato sindaco del PD oggi indagato per scambio elettorale politico mafioso, viene intercettato al telefono con il genero di Domenico Araniti, indicato dalla Dda come il boss di Sambatello, mentre concordano: “l’affluenza è molto bassa nonostante tutto… ma meno votano e meglio è, non ti credere”.

Cittadini sfiduciati e delusi vorrebbero una politica dal volto nuovo, ma si ritrovano il solito sistema di potere che si limita a cambiare maschere. I rottamatori diventano affaristi, i rottamati si riciclano, gli anticasta si mischiano all’establishment, i dinosauri della politica proliferano anziché estinguersi, i corrotti si proclamano martiri, i radicali si trasformano in moderati, i contenuti si appiattiscono, le identità si perdono e gli elettori si allontanano. Ma “meno votano e meglio è“, tanto la colpa sarà di chi si astiene.

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