Mafia, paesaggi deturpati e mancanza di linee guida nazionali: queste le cause dello sviluppo selvaggio (eppure ancora scarso sotto molti aspetti) dell’eolico in Italia. Ma se la prima e la terza sono vere – basti pensare all’infinita bagarre dell’eolico off-shore pugliese o allo scontro tra pm e gip in Calabria – la seconda sa molto più di bufala.
A confermarlo non sono i colossi mondiali dell’energia, ma Greenpeace, che già cinque anni fa bacchettava il pseudo-ambientalismo di alcune amministrazioni locali:
Circa il 34% dell’energia mondiale potrà essere fornita dal vento entro il 2050. Il vento permetterà di “risparmiare”, ossia non emettere in atmosfera, ben 110 miliardi di tonnellate di CO2 da qui al 2050, pari alle emissioni di anidride carbonica dell’intera Europa in circa 25 anni.
A oggi l’energia eolica è tra le più economiche in circolazione, insieme all’idroelettrico: non a caso si tratta delle due fonti energetiche più lungamente sfruttate nella storia dell’umanità. I primi mulini a vento sono stati costruiti probabilmente nel VII secolo in Iran e Tibet, anche se più recenti e meno numerosi di quelli ad acqua. Una rivoluzione industriale che oggi ci pare un sogno: fonti energetiche completamente rinnovabili e taglio drastico dell’uso della forza umana (leggasi: schiavismo).
Pretendere che una pala eolica stia alle Dolomiti come il Giudizio Universale sta alla Cappella Sistina è un’argomentazione davvero poco sensata… Si possono elencare decine di “opere” presenti sul nostro paesaggio di impatto visivo ben peggiore, alcune firmate da celebri architetti: ultimo ma non meno brutto (e inutile) il ponte di Calatrava a Venezia. Si pensi poi ai tanti abusi edilizi e agli ecomostri sparsi un po’ in tutta la Penisola.
Secondo Bernardo Secchi, docente di urbanistica alla IUAV di Venezia
i campi eolici vanno progettati con grande attenzione, valutando il contesto ambientale e paesaggistico. Progettare un campo eolico significa ideare un progetto di architettura del paesaggio.
E gli esempi in questo senso in Europa non sono pochi. Senza andare a scomodare il solito nord virtuoso basterebbe fare un giro in Normandia o alla foce dell’Ebro, quest’ultimo ampiamente sfruttato (con ottimi risultati) anche per l’irrigazione e per la produzione di energia idroelettrica.
Piuttosto debole risulta anche il veto animalista. Uno studio danese su uno dei più grandi parchi eolici off-shore (Horns Rev) ha dimostrato che le strutture subacquee di sostegno delle turbine creano un microambiente ideale per la fauna ittica. Diverso l’impatto sull’avifauna: in fase di costruzione alcune specie rischiano più di altre, ma una volta ultimato il parco eolico non si comporta da “frullatore” come si crede comunemente (anzi, per un uccello ucciso da una turbina 5820 si schiantano e muoiono sulle vetrate degli edifici, senza contare tralicci e mezzi di trasporto). L’individuazione del sito ideale e l’uso di speciali accorgimenti possono tranquillamente ovviare alla maggior parte dei problemi: lo dice una ricerca di quattro fra naturalisti e ornitologi, membri delle più importanti associazioni britanniche impegnate nella protezione degli uccelli.
In Italia la parola definitiva sulla “questione estetica” l’ha messa proprio Legambiente col libro Smisurati Giganti?:
puntare sull’eolico è oggi imprescindibile per cambiare modello energetico e renderlo finalmente pulito, efficiente, moderno.
Non è quindi necessario aggiungere ai già citati problemi di mafia e corruzione una sterile battaglia estetica. Sull’odierna efficienza delle energie rinnovabili c’è ancora molto da fare e ancor più da discutere, ma non siamo all’inizio di questo viaggio, di passi in avanti ne abbiamo già fatti molti. Lo testimonia la storia di Tocco da Casauria (riportata anche dal New York Times): uno dei più vecchi e più piccoli progetti di parco eolico, che fornisce un surplus energetico del 30%, tradotto, nel 2009, in 200 mila dollari spesi nella prevenzione dei terremoti e nella pulizia delle strade della piccola comunità montana. Con buona pace di tutti gli Sgarbi d’Italia.
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