Senza alcun dubbio prima di iniziare qualsiasi tipo di ragionamento sui problemi dell’agricoltura è necessario ricordare come questa sia un pezzo del mercato del lavoro che presenta per molteplici motivi una valanga di problematiche strutturali alle quali il mondo politico ancora non ha trovato soluzione. C’è da dire inoltre che quando si parla di agricoltura -specialmente nella mia regione, la Puglia- parliamo di un mondo dalle mille sfaccettature dove convivono diverse realtà, a causa anche alle differenti caratteristiche economiche delle diverse province.
Il numero delle aziende agricole in Italia è di 250.000 di cui 38.000 solo in Puglia, aziende pugliesi non certo con pochi affanni (basti pensare che l’annata 2011 è stata più nera della pece dato il crollo drastico del prezzo di tutti i prodotti agricoli, tanto da incidere in maniera più che significativa sul reddito di centinaia di famiglie). Malgrado tutto ciò, i costi di produzione continuano ad aumentare, a partire dai prezzi dei carburanti fino ad arrivare a quelli di concimi e fitofarmaci.
La somma di tutto questo contribuisce alla perdita di migliaia di ore di lavoro, incidendo sul dato occupazionale della regione: i lavoratori agricoli pugliesi sono circa 150,000, di cui 16,000 extracomunitari. I settori dove maggiormente lavorano gli extracomunitari sono quelli dell’agriturismo, della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e quello zootecnico. La produzione agricola pugliese ha raggiunto oggi i 3,5 miliardi di euro, il cui 40% deriva dall’eccellenza e dalla qualità di olio e vino.
Le ragioni di questa crisi economica e sociale sono davvero tante, ma di sicuro la grande industria organizzata ha le sue colpe visto che determina il prezzo delle vendite e controlla quasi il 70% del mercato[1]
La Politica, che trasversalmente ha fatto dell’agricoltura un bagaglio di voti agevolando politiche clientelari, ora fa fatica a mettere al centro del proprio operato le problematiche agricole. La frammentazione, l’assenza d’imprenditorialità e le evidenti difficoltà a consorziarsi in cooperative fanno si che la commercializzazione dei prodotti tipici sia pressoché impossibile. Si aggiunge a tutto questo l’esistenza di “due Puglie agricole” differenti: il Salento e gran parte del territorio tarantino optano per un’agricoltura “tradizionale”, mentre nelle aree della fascia costiera molte aziende ricorrono all’uso di macchinari all’avanguardia e di manodopera extracomunitaria.
L’agricoltura pugliese, in questo periodo drammatico di crisi economica e di fronte ad una forte recessione, può e deve essere un’opportunità per molte famiglie. E questo può accadere solo con una maggiore consapevolezza da parte dei pugliesi delle potenzialità della propria regione. Le proposte in campo sono molteplici: riunire turismo e agricoltura in un’unico blocco con la creazione di mercati locali a Km 0, riversare nel settore agricolo gran parte dei fondi FAS recentemente sbloccati, dimezzare i costi della produzione agricola attraverso sgravi fiscali e, perché no, abbattere definitivamente l’IMU sui terreni agricoli.
La politica pugliese, però, si sente pronta per questo?