In Italia abbiamo 46025 beni architettonici, 5668 beni immobili archeologici e 4739 musei (sono dati del Ministero).
L’Italia è la nazione che detiene il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO (49 in totale).
Non è meraviglioso?
Lo è in effetti.
L’Italia però è anche una nazione che detiene un consistente numero di opere incompiute: stadi, uffici, caserme, centri commerciali, scuole, dighe… cose progettate e parzialmente realizzate, ma mai completate. Denaro pubblico finito in un pozzo senza fondo. O no?
Dipende.
Claudia D’Aita, Enrico Sgarbi e il collettivo Alterazioni Video hanno deciso che quel pozzo un fondo lo poteva avere. Un fondo di cultura e memoria storica.
Attribuire all’ “incompiuto” un significato artistico e architettonico significa escogitare un altro modo di leggere questi luoghi, utile per una comprensione più ampia e problematizzata dei rapporti tra il territorio e coloro che lo abitano.
Le opere pubbliche incompiute sono un patrimonio artistico-culturale e in quanto tale divengono potenziali promotori di un’economica locale al pari di altri siti storici del nostro territorio. Una soluzione concreta alla sensazione di sconfitta a cui questi luoghi preludono.
Potete leggere molto di più sul loro sito e potete anche partecipare, segnalando edifici incompiuti che non sono ancora presenti nella mappa.
Questa operazione è un qualcosa di completamente diverso da ciò a cui ci ha abituato la tv berlusconiana col suo Gabibbo e la sua cittadinanza poco operosa e costantemente lamentosa. Le opere pubbliche incompiute raccontano una storia che dà fastidio, fatta di sotterfugi narrativi da imminenti elezioni politiche, compravendita di voti, mazzette, fondi che ci sono e poi spariscono per benaltrismo, burocrazia kafkiana, abusi edilizi… Sono mali italiani, è vero, ma sono storia recente che deve spingere l’opinione pubblica a riflettere su ciò che realmente vuole dalle amministrazioni locali e sulle reali necessità del Paese.
A vedere mappate tutte queste opere mi chiedo, come mi chiedeva ieri un’amica: e se quei soldi fossero stati almeno in parte spesi per alimentare un terreno diverso, quel terreno da cui escono i fondatori de l’Incompiuto Siciliano e quei tecnici e scienziati che quelle opere le avrebbero finite o destinate a qualcosa di diverso o ripensate già in fase progettuale?
Guardate a quelle opere quando andrete in giro per la penisola, ma non fermatevi al lamento. Pensate a ciò che è stato e che può essere se solo imparassimo la lezione storica e orientassimo anche le nostre scelte personali verso una rinascita culturale collettiva. Siate, in altre parole, dei radicali:
Essere radicali è considerare le cose dalla loro vera radice, provare a ricostruire azioni e idee partendo dai principi basilari.
Ci vuole tanta pazienza e tanto impegno, ci si scontrerà con una supponenza politica ben più preparata ad affrontare (e raggirare) gli umori degli elettori. Ma pare che a lungo andare ne valga la pena. Questa sì che sarebbe una bella storia da raccontare ai nostri nipoti.