Giovedì 26 settembre, si è riunito il Consiglio di Amministrazione di Alitalia, al fine di monitorare lo status finanziario della società, oggetto di pressioni da parte di un’altra società franco-olandese, Air France-KLM, desiderosa di raddoppiare le proprie quote di partecipazione di Alitalia -dal 25% al 50%- e quindi di diventarne l’azionista di maggioranza. La ricapitalizzazione prevista dal Consiglio è stata solamente di 100 milioni di euro: una cifra esigua, essendo il rosso di bilancio vicino ai 300 milioni di euro. Certamente questa è stata una piccola boccata d’ossigeno, ma lo status finanziario di Alitalia non è proprio dei migliori, in quanto la compagnia di bandiera italiana è fortemente indebitata, e solo il 23 settembre scorso il Consiglio di Amministrazione di Air France ha preso in considerazione l’opportunità di rilevarne le quote. Il Ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, in un’intervista al Sole 24 Ore, ha ammesso la propria preoccupazione in merito al fatto che, se Alitalia venisse acquistata da Air France-KLM, l’Italia verrebbe marginalizzata dal traffico aereo. Zanonato ha inoltre ribadito il proprio impegno nel “trovare soluzioni alternative”, sottolineando che si tenterà di coinvolgere il settore bancario italiano per l’acquisizione di una parte delle quote di Alitalia, di modo che questa non perda il proprio status di “compagnia di bandiera”.
La storia di Alitalia è stata sempre molto problematica. Alitalia fu fondata nel 1947, e nel 1957 divenne Alitalia-Linee Aeree Italiane. Alitalia era proprietà dell’IRI, l’ente che possedeva tutte le partecipazioni dello Stato nei settori ritenuti strategici. All’inizio degli anni ’90 Alitalia era una delle compagnie statali più indebitate. Così nel 1996 il governo Prodi decise di privatizzarne una parte, anche se il Tesoro mantenne una quota di maggioranza. Nel 2006 la compagnia aerea italiana era prossima al fallimento, ed il secondo governo Prodi decise di vendere parte delle quote del Tesoro, in modo da privatizzarla completamente. Solo che, a causa del cattivo status finanziario dell’economia l’asta per la cessione del 39% delle quote andò completamente deserta. Verso la fine del 2007 il governo intavolò una trattativa direttamente con Air France-KLM. Le due parti concordarono la vendita delle quote per il prezzo di 1,7 miliardi di euro e un esubero di 2100 lavoratori. Poco dopo la trattativa saltò completamente per due ragioni: da una parte perché i sindacati la denunciarono, sfilandosi completamente da essa, dall’altra perché il 2008 vide la caduta del governo Prodi. Rimane da dire che Air France-KLM rifiutò il progetto ancora prima della caduta del governo, avendo capito che in Parlamento non c’era la maggioranza necessaria per procedere con l’operazione di svendita della compagnia. Berlusconi, da leader dell’opposizione, aveva dichiarato in più di un’occasione di essere contrario alla trattativa in quanto bisognava preservare “l’italianità della compagnia”.
Berlusconi vinse le elezioni politiche nell’Aprile del 2008, e nell’estate dello stesso anno, venne messa in piedi la cosiddetta CAI (Compagnia Aerea Italiana), presieduta dall’imprenditore Colannino e dalla società Intesa San Paolo e partecipata da molti big del milieu imprenditoriale italiano, quali il gruppo Benetton, il gruppo Riva, Ligresti, Marcegaglia e molti altri ancora. L’obiettivo del gruppo era rilevare la parte sana di Alitalia. La società fu così divisa in due: da una parte vi era proprio la CAI, una good company che conteneva le parti “sane” di Alitalia, mentre dall’altra una bad company, in poche parole i debiti della compagnia. Mentre la prima fu acquistata dalla cordata di “capitani patriottici” (così fu chiamato il gruppo di acquirenti che rilevarono le quote di Alitalia), la seconda fu lasciata nelle mani dello Stato, e quindi dei contribuenti. La notte del 12 gennaio del 2009 Alitalia fece decollare da Roma il suo ultimo volo.
Il 13 gennaio del 2009 nacque cos’ Alitalia-CAI. L’operazione fu pesantemente criticata da buona parte dell’opinione pubblica. E non a torto, in quanto si decise di vendere la compagnia a 1 miliardo di euro, ossia 700 milioni in meno rispetto al piano Prodi-Bersani, e gli esuberi furono circa 7200, anziché di poco più di 2000. Alla fine la cifra netta sborsata dalla cordata patriottica ammontò a poco più di 300 milioni di euro. E tutto questo senza contare i costi della bad company, che ancora gravitano sui contribuenti, sempre costretti a pagare di tasca propria le malefatte e l’incompetenza di una classe politica e imprenditoriale verso cui la cittadinanza è sempre più insofferente.
Il divieto di cedere azioni per i soci della compagnia è scaduto lo scorso gennaio. Solo il Consiglio di Amministrazione può porre il veto del lockup da parte degli azionisti (è il termine tecnico con cui si indica il blocco delle azioni detenute in una compagnia). Ma anche questa clausola scadrà a breve (verso la fine di ottobre). In questi 4 anni la compagnia si è ulteriormente indebitata, e di conseguenza Air-France-KLM sta prendendo tempo, nel tentativo di capire il reale status finanziario dei Alitalia. Resta da capire se la compagnia franco-olandese sia veramente desiderosa di comprare quest’osso, completamente spolpato da anni di malagestione prima dalla politica, e poi dall’imprenditoria italiana.