E alla fine, il “fieramente populista”, come si definisce lui stesso, Beppe Grillo l’ha avuta vinta. E l’ha avuta vinta su tutta la linea, grazie all’involontaria complicità del governo Letta, capace di varare un decreto che scontenta un po’ tutti.
In realtà, Grillo non è certo scontento del decreto che ha sancito l’abolizione del finanziamento pubblico (in realtà si tratta di rimborsi, essendo stato il finanziamento pubblico ufficialmente abolito dal referendum del ’93), perché da un lato può vantare la vittoria del M5S, dall’altro sbraitare perché il finanziamento resta, seppur in forma ridotta, fino al 2016, mentre dal 2017 i cittadini potranno liberamente scegliere se devolvere il 2xmille ai partiti.
Metto subito in chiaro tre punti:
1. Sono assolutamente contrario all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti politici.
2. Sì, senza dubbio la classe politica ha aggirato, seppur legalmente, il referendum del ’93.
3. L’attuale mole di denaro che fluisce dallo Stato verso i partiti è esorbitante e non sono previsti adeguati controlli.
Partiamo dal principio: perché sarebbe cosa buona e giusta finanziare con soldi pubblici questi partiti, che per molti non sono che covi di ladri, corrotti ed infami? Perché tutti devono poter fare politica, semplice, e non tutti possono permettersi i mezzi per fare politica: basta un rapido sguardo all’attuale Parlamento per capire come due dei tre partiti più forti del nostro Paese abbiano alle spalle dei leader che un soldino messo via ce l’hanno (provate ad indovinare di chi sto parlando…).
Probabilmente i grillini risponderebbero “Non è vero, il M5S è autofinanziato dai simpatizzanti, dai MeetUp, ecc, Beppe non spende nemmeno un centesimo per il MoVimento”. Ora, lasciando da parte la veridicità o meno di quest’affermazione, è innegabile come la disponibilità economica, nonché la fama, di Beppe Grillo siano indispensabili per il M5S: senza il blog dell’ex comico genovese e i suoi tour in giro per l’Italia in sostegno dei veri candidati, siete davvero convinti il M5S avrebbe raggiunto percentuali superiori al 20%?
Come anzidetto, tutti devono poter fare politica, ma, particolare non irrilevante, devono poterla fare liberamente, rispondendo a quelle che sono le esigenze del Paese. Può sembrare una frase assolutamente banale, lo so, e so anche che molto spesso anche oggi parte della classe dirigente ha intrallazzi con poteri di vario tipo che ne condizionano l’azione politica, ma lasciando solo al finanziamento privato l’onere di sovvenzionare i partiti, questi finiranno per essere costretti a lasciarsi guidare dai loro “sponsor” per non perdere il loro sostegno economico.
E questo vale sia a livello nazionale che locale: venendo meno i finanziamenti pubblici, anche i circoli rischiano di essere costretti a cercare finanziatori che sponsorizzino le loro iniziative e li aiutino con le spese, in particolare in periodo di campagna elettorale.
“Il finanziamento pubblico va abolito, in nessun Paese ‘civile’ esiste, siamo gli unici a regalare soldi ai partiti!”: quante volte, negli ultimi anni, abbiamo sentito queste parole. Se così fosse, dovremmo adeguarci alle altre nazioni e abolirlo subito, no? Beh, peccato che così non sia affatto: come dimostra l’immagine sopra l’articolo, tutti i Paesi più sviluppati e di maggior tradizione democratica presentano forme di finanziamento pubblico ai partiti, siano essi finanziamenti annuali, rimborsi elettorali o una compresenza di entrambi questi elementi.
Da oggi, o meglio, dal 2017, l’Italia entrerà a far parte di un ristretto novero di Stati che prima di lei hanno debellato quell’infame piaga che è il finanziamento pubblico: Ucraina e Bielorussia in Europa (oltre alla Svizzera, unico Paese occidentale in questa lista), Afghanistan, Iraq e India in Asia, Senegal, Sierra Leone e Mauritania in Africa, Venezuela e Bolivia in Sud America. Saremo in buona compagnia, insomma.
I partiti, in Italia, hanno ormai esaurito da tempo la scorta di fiducia che la maggioranza dei cittadini accordava loro, e ridurre i costi della politica è indubbiamente un primo passo per andare incontro a tutta quella massa di sconfortati secondo cui “la politica è schifosa e fa male alla pelle”, come diceva Gaber, ma c’erano due modi per realizzare quest’obiettivo: si sarebbe potuto, ad esempio, ridurre drasticamente i rimborsi elettorali (rimborso, che io sappia, significa che pago 1 e vengo rimborsato 1) e istituire organismi che garantissero la trasparenza nella gestione del denaro pubblico versato ai partiti, oppure si poteva scegliere la via più facile, ed è proprio quello che ha fatto il governo Letta, inseguendo le ricette semplicistiche e populiste proposte da Grillo (ma con un pizzichino di Renzi, anche).
Il partito politico come lo conosciamo oggi, vale a dire il partito di massa (con tutte le degenerazioni e i cambiamenti che sono intervenuti nella sua struttura e nella sua natura) è nato pressoché insieme al suffragio universale. È nato per dare rappresentanza anche a chi la politica non se la poteva permettere, ma voleva partecipare attivamente alla “cosa pubblica”. I partiti di oggi, non v’è dubbio, hanno fatto di tutto per alienarsi il sostegno popolare e ora cercano di mettere una toppa, ottenendo in cambio soltanto altro disincanto: da questo decreto la popolarità del governo non trarrà probabilmente alcun beneficio, ma, come è stato scritto nei giorni scorsi (forse banalizzando un po’, ma rendendo l’idea), perlomeno ora i miliardari potranno fare politica senza essere disturbati dagli straccioni.
*Nell’immagine di copertina, i Paesi colorati in giallo/verde prevedono rimborsi elettorali, quelli colorati in rosa finanziamenti elettorali, quelli colorati in rosa una compresenza di entrambi gli elementi.