E sentenza fu. Dopo circa 1400 giorni, il Piemonte ha la soddisfazione di sapere che tutti quei tagli alla sanità, tutte quelle corsie ospedaliere sovraffollate, quelle eliambulanze che non hanno il carburante per andare a soccorrere le persone, quei tetti delle scuole pieni di amianto e mai inertizzati, quell’IRPEF inumano e vergognoso sia sui lavoratori sia sulle aziende, quei treni che non partono perchè i fondi regionali ai trasporti evaporano misteriosamente, ecco tutte queste (e tante altre cose) sono semplicemente illegali.
Perchè illegale ne è la causa: la giunta regionale presieduta dal novarese Roberto Cota, una delle teste di punta della Lega Nord, è illegale. Non doveva neanche nascere. Non doveva, perchè la sua vittoria elettorale del 2010 è stata possibile solo grazie alla presenza di una lista collegata, i “Pensionati per Cota”, la cui presentazione era viziata da irregolarità: insomma avevano raccolto delle firme false, senza cui non avrebbero avuto la possibilità stessa di correre alle elezioni.
Sarebbe troppo stucchevole in questa sede discutere in merito ai tanti e ingenti danni procurati dalla giunta Cota ad una Regione che, con tutti i suoi difetti, resta comunque piena di potenzialità e di settori culturali, economici e commerciali. Una giunta che, sotto ogni profilo, ha fallito. Impossibile, tra le migliaia di cose che si possono dire in merito ad una gestione per nulla capace, non citare l’onta che i cittadini piemontesi hanno dovuto subire nel vedere, giorno dopo giorno, gli sviluppi delle inchieste sui fittizi rimborsi elettorali. Un’inchiesta della Procura di Torino denominata, appunto, Rimborsopoli. Si è andati dall’ex-missino (anche lui novarese, è una condanna) che è indagato per aver speso 9000 euro per gadget inneggianti a Mussolini, fino agli ormai tristemente celebri mutandoni verdi e alle ignote ai più capacità di ubiquità di certi consiglieri regionali di maggioranza che hanno chiesto rimborsi per cene consumate in cinque luoghi diversi nella stessa sera.
No, non è solo questo. Appena dopo l’emissione della sentenza, il segretario della Lega Salvini ha parlato di “attacco alla democrazia”. E’ vero, in parte ha ragione. Come si può concepire l’idea stessa che un governo regionale illegale possa restare in carica quattro anni? Come si può non rabbrividire di fronte ad una sentenza che ci mette quasi tutto il tempo della legislatura per arrivare? Anche se il consiglio di Stato confermasse in tempi brevi l’annullamento del voto del 28 marzo 2010, la prima data utile per votare sarebbe il 25 maggio, insieme alle europee.
E’ una vergogna, è un danno alla democrazia stessa. E’ l’emblema di una burocrazia giudiziaria – ma non solamente – che per decisioni che richiederebbero al più qualche mese, impiega qualche anno. I danni sono enormi perchè, nel bel mezzo della crisi, il Piemonte ha avuto un governo illegale. E’ la democrazia – e non Cota – ad essere stata messa in discussione. Perchè, tra le tante caratteristiche che deve avere uno Stato di diritto (o almeno uno Stato degno di essere definito tale) c’è la possibilità, per i suoi cittadini, di essere in grado di sapere se un governo è o non è legittimo, è o non è legittimato a fare certe scelte, a prendere decisioni. Quattro anni per una sentenza amministrativa sono il più grande emblema della ferita che la nostra democrazia rischia – e il confine tra rischio e realtà è molto labile – di subire.
Cota a casa, certo, e quanto prima. Ma insieme a Cota, poniamo anche fine a un modo di amministrare lo Stato, le sue magistrature e le sue burocrazie del tutto farraginoso, vergognoso e inaccettabile, non degno nemmeno di un Paese del Terzo Mondo.