Lo sappiamo, ci viene detto in ogni salsa, in ogni modo, in ogni occasione: siamo entrati – forse da più tempo di quanto crediamo davvero – nella “epoca post-ideologica”. E, ad essere pignoli, bisognerebbe poi capire che cosa possa o non possa essere incasellato nell’affascinante definizione di “ideologico”.
Di certo c’è forse una cosa sola: sarebbe miope credere davvero che a partire da un certo punto in poi, che per semplicità potremmo collocare al 1989, con la caduta del Muro, i partiti e più in generale le strutture di organizzazione politica della società abbiano davvero abbandonato l’ideologia in quanto tale. E’ accaduto qualcosa di diverso. Si è semplicemente (ma non per questo linearmente) passati da ideologie di sostanza a ideologie prettamente formali, potremmo dire strumentali.
Quali sono, allora, queste nuove – quasi terribilmente onnipotenti – ideologie dell’inizio del Terzo Millennio? Una su tutte: il sempre più evidente allontanamento dai cittadini dei soggetti di rappresentanza politica, in particolare i partiti. Ciò non è un punto di arrivo, ma il punto di partenza di un risultato ancora più grande (e quindi gravoso), in parte inesplorato e molto, troppo, sottovalutato: è nata e cresciuta una vera e propria sudditanza psicologica, fragilissima e per questo inamovibile nella mente dei tanti che ad essa aderiscono, nei confronti del sondaggio.
Il dio sondaggio della politica di noialtri, potremmo ironizzare. Il problema è che è tutto vero. Prendiamo un politico, non importa quale: il più delle volte sembra davvero – in campagna elettorale e non solo – che il sondaggio, con i suoi numerini che salgono e scendono ad ogni sospiro, ad ogni battuta, ad ogni mezzo slogan buttato lì al pubblico retweet, non sia uno strumento per farsi un’idea generale, anche approssimativa ma concreta, degli umori dell’opinione pubblica; no, la logica imperante nei partiti e movimenti “post-ideologici” è esattamente capovolta: ciò che importa sopra ogni altra cosa diviene il sondaggio in sè, inteso quindi come fine, come il risultato finale di faticose ore passate al cospetto di grigi analisti e statistici.
Interessante, allora, che proprio l’era che si autocertifica come al di fuori dei tradizionali steccati di ideologie (o ideali, chissà, forse la risoluzione della questione sta qui) divenga poi, alla prova dei fatti, quella con più steccati preconfezionati. Sono nati, quasi come delle moderni Venere, riti e miti in parte inculcati dalla politologia tecnicista in parte dall’illogicità pura che, chissà come, sembra sempre più di frequente colpire partiti e movimenti politici.
Un mito collettivo? I moderati. E, cosa ancora più imbarazzante, fare di tutto per piacere ai moderati. Che poi, potremmo chiederci, dove sono questi moderati? Sono forse quelli che hanno ripetutamente legittimato Silvio Berlusconi, quelli più irrazionali di tutti, quelli che vanno a votare non tanto con la pancia ma piuttosto con l’intestino? Oppure i famosi moderati sono i nuovi adepti del renzismo elevato a cecità collettiva, in un tripudio di fideismo e – al tempo stesso di catastrofismo nella malaugurata ipotesi in cui il segretario fiorentino fallisca (parolone poco moderato, invero) nel suo strabiliante e indefesso piano delle riforme? Oppure, non fatemi ridere, i moderati sono i seguaci del grillismo petulante, quelli che teorizzano (altro parolone, anche perchè il concetto stesso di teoria richiede necessariamente la presenza di pensiero) che la democrazia sia un bel clic su un oggettivamente brutto blog? No, la realtà è più semplice: i moderati non esistono.
E poi ci sono tutti gli altri miti, tutti totem della cosiddetta Seconda Repubblica in salsa italica, riti e miti che producono l’unico risultato certificabile: chi fa politica la fa in modo distaccato, lontano dalle esigenze dei cittadini; non significa, però, essere lontani da ciò che le persone vogliono sentirsi dire: no, quello è semplicissimo, fin troppo, ed è un’altra seria, grave e mortifera malattia della nostra rappresentanza politica; una di quelle malattie che, a chi ne soffre, non sembrano tali. O, almeno, non sembrano tali fino a quando non si rivelano per quello che sono.