Ci cascò Mineo dicendo che la Boschi era il prodotto della parità di genere. Poi ci furono gli insulti su facebook da parte dei simpatizzanti grillini, del tipo “era meglio se facevi la pornostar” (e qualcun altro effettivamente più pesante). Per inciso, ricordo che dare dell’attrice porno in Vaticalia è un’offesa: e pensare che è lo stesso Paese che fece di Moana Pozzi un’icona culturale.
L’insulto sessista è brutto, è sbagliato, questo lo sappiamo e lo riconosciamo tutti. Nel caso alla Boschi si dovrebbe dire altro: ad esempio che è un’incompetente, che dice stupidaggini, che si permette di dire se e quando il Paese è “pronto” per essere un luogo di diritto. Cose che le direi io se me la trovassi davanti, faccia a faccia, com’è giusto che sia, senza dover prima consultare le sacerdotesse del femminismo moderno.
La forma, lo ripeto, è importantissima e gli insulti che arrivano alla Boldrini, alla Boschi o alla Bindi sono il retaggio di una cultura sessista, senza ombra di dubbio. Ma guai a tralasciare la sostanza, altrimenti la forma, l’involucro, si accartoccia su se stesso. Le donne, quelle che si vogliono indirizzare a struggersi per le ministre, gli insulti sessisti li sentono un giorno sì e l’altro pure; sono quelle che fanno più fatica a trovare un’occupazione e a raggiungere l’indipendenza economica, più dei loro mariti, amici e fratelli che pure non stanno molto meglio.
Se allarghiamo il nostro orizzonte al mondo intero, 2/3 degli analfabeti sono donne, 7 poveri su 10 sono donne. Quando si ottiene la parità con l’uomo sul posto di lavoro è sempre al ribasso: orari più massacranti e salari più miseri per tutti. Il femminismo andava nella direzione opposta: non voleva le donne soldato, voleva che si smettesse tutti di andare in guerra. Quel femminismo è stato purtroppo sconfitto e umiliato, ora di quelle lotte e di quegli ideali è rimasta solo la femminista di professione, mestiere speculare (e non a caso) a quello della politicante.
Non faccio benaltrismo, il problema dell’insulto sessista esiste. Ma non fermiamoci lì. Quando mi si chiede una qualche solidarietà di genere a una donna di potere, per quanto condivida la bontà del principio, mi sento come un bracciante chiamato a morire sul campo di battaglia per un re che nemmeno conosco. Cara Maria Elena e care tutte, mi perdonerete, ma io, specialmente a fronte del vostro mediocre valore politico (e non basterà tutta la misoginia del mondo per modificare il giudizio che ho su di voi) per questa volta diserto, s’il faut donner son sang allez donner le votre!