[Per rispetto di chi sta seguendo il telefilm o di chi lo seguirà, si avvisa che l’articolo contiene spoiler]
Francis Underwood – o Francis Urquhart, per chi preferisce la versione del libro scritto da Lord Michael Dobbs – è un politico con i fiocchi: come Chief Whip (il capo della maggioranza) il deputato Underwood deve conoscere virtù e soprattutto vizi dei suoi colleghi di maggioranza e di opposizione. Conoscerli e soprattutto sfruttarli per “aprire i rubinetti dei voti e farli scorrere” verso i progetti di legge, come afferma lui stesso. Underwood fa scorrere voti e liquame e, soprattutto, acqua al suo mulino quando seppe che la promessa di venire nominato dal Presidente Eletto Segretario di Stato sarebbe stata disattesa. Underwood, che sperava di entrare nel gabinetto come responsabile degli esteri degli Stati Uniti d’America, resta al Congresso, con la patata bollente di una riforma dell’istruzione “un po’ troppo a sinistra” e un Presidente che promette di vararla entro cento giorni con l’appoggio della Camera dei Rappresentanti. Il capo della maggioranza farà di tutto per eliminare dalla scena politica il Presidente Garrett, sfruttando la sua influenza nel Congresso, l’affascinante moglie Claire e la giovane giornalista Zoe Barnes.
House of Cards è tutto tranne che irreale: è la politica portata all’esasperazione, è il graffiante bisogno di un uomo potente di vendicare un torto subito, è il desiderio di arrivare a ogni costo, distruggendo la dignità di un avversario, che è visto come un ostacolo non solo da superare, ma da eliminare moralmente.
A tutto questo si ispira Matteo Renzi? Temo di sì, anche a giudicare da quello che i suoi pensano riguardo il rapporto fra House of Cards e il Segretario-Presidente del Consiglio. Come dice Marco Pierini, 18 anni, capogruppo di maggioranza a Montespoli (FI) e “mascotte” della Leopolda, su ‘Patrioti’:
«Non voglio esagerare, non voglio dare eccessiva importanza al ruolo del Consigliere Comunale: il mio compito è poca cosa rispetto a quello del Presidente del Consiglio, quanto a responsabilità, ma è allo stesso tempo molto simile, perché entrambi sappiamo che ci sono persone che si fidano di noi tanto da volerci nei luoghi in cui si decide il futuro della comunità. Ed è chiaro che dobbiamo dotarci di lucidità, di capacità di analisi, capacità di fare strategie e coraggio di scegliere; è chiaro che non riusciremo a incidere davvero senza quella sana spregiudicatezza che, per esempio, ha portato Matteo Renzi a Palazzo Chigi: insomma, detesto i “duri e puri”; detesto il moralismo di chi si straccia le vesti per l’incoerenza di una scelta del leader, di chi preferisce il buonismo al pragmatismo, di chi non riesce a sacrificare qualcosa di se stesso per raggiungere un obiettivo più alto. Ma tutto questa senza spirito di servizio, senza amore per la propria comunità, senza senso di responsabilità non è altro che l’atteggiamento di chi pensa di essere in una serie TV e non nelle istituzioni.»
Pare proprio che in ambienti renziani il paradigma “underwoodiano” venga instaurato a modello, quasi come se House of Cards fosse un manuale di istruzioni per chi desidera sì sporcarsi le mani, ma arrivare a fini positivi. Pierini, e tutti gli altri che tentano di trovare nella serie (e nel libro, edito da Rizzoli, comunque molto bello e ben scritto da Lord Dobbs), sapranno per certo che Francis J. Underwood tenta di distruggere la riforma della scuola voluta dal Presidente per avvicinarsi a lui allo scopo di distruggerlo. Underwood, l’exemplum renziano di pragmatismo, arriva a uccidere due persone, due sue marionette, per eliminare le prove delle sue malefatte. La sua concezione della politica è votata a un tipo particolare di sacrificio…
«La politica richiede sacrificio. Il sacrificio degli altri, ovviamente. Per quanto un uomo possa ottenere, sacrificandosi per il proprio paese, è comunque più conveniente che siano gli altri a farlo per primi.»
Parole che lo scrittore dell’opera, una trilogia che in Italia verrà pubblicata in concomitanza della serie televisiva da Fazi, ha vissuto nella sua esperienza di capo di gabinetto nei governi della Lady di Ferro Thatcher, che di punto in bianco lo cacciò dal suo staff. Dobbs, rifugiatosi a Malta, riflette sulla sua vita e sulla sua azione politica e ne escono fuori due lettere: F.U., che nello slang inglese stanno a indicare il nostro vaffa**. Dobbs, che oggi è nella House of Lords, si sente di dare un consiglio al nostro Primo Ministro, forse conoscendo un po’ la politica italiana:
Italian PM Renzi walked into Rome bookshop yesterday and bought copy of House of Cards. Hope he realises it's entertainment not instruction
— Lord Michael Dobbs (@dobbs_michael) April 8, 2014
Prego ogni giorno nel caso il sottoscritto dovesse entrare con ufficialità nell’agone politico di restare un “duro e puro”, un moralista che si straccia le vesti, uno che preferisce il buonismo al pragmatismo se il pantheon renziano, se questa tanto millantata “sinistra” del “Partito della nazione”, oltre a Margaret Thatcher, annovera anche lo spietato e machiavellico – con buona pace della storpiatura di chi “Il Principe” manco lo ha letto – Francis Underwood.