Dalla parte delle #donne ?

Dopo 6 anni di battaglia legale la Cassazione francese ha confermato il licenziamento per giusta causa di Fatima Afif, insegnante in un asilo privato di Parigi che aveva rifiutato di togliere il velo quando la direzione della scuola le aveva fatto notare che andava contro il regolamento (è vietato esibire simboli religiosi). Il 24 settembre ai campionati asiatici di basketball, la nazionale del Qatar ha dato forfeit poiché era stato impedito alle giocatrici di indossare l’hijab.

I conflitti in Medio Oriente sono, si dice, i focolai di una guerra tra due civiltà: quella Occidentale, dove si dice non si faccia distinzione di genere, e quella Islamica, che invece pone la donna in uno stato di piena sottomissione all’uomo. La Francia è il baluardo europeo della laicità e talvolta, vuoi per ammirazione vuoi per un complesso di inferiorità, si chiude un occhio quando sconfina nell’ateismo di Stato. Rischiamo così di scambiare la lotta per l’uguaglianza di genere con la gara a chi, tra due mondi diversi (e forse davvero incompatibili) ce l’ha più lungo.

Non ci può essere parità di genere se si pongono ostacoli all’indipendenza economica delle donne. Combattiamo da anni anche qui, nel nostro mondo liberale, per avere salari equi e vedere riconosciuta la maternità non come un ostacolo all’economia, ma come un valore aggiunto per la collettività; a Fatima Afif, di fatto, è stato tolto uno stipendio e la sua professionalità è passata in secondo piano rispetto alle sue convinzioni religiose. Le cestiste del Qatar, che fanno una fatica disumana all’interno della loro stessa società per farsi riconoscere il diritto a praticare un’attività fisica, viene invece tolta l’occasione per misurarsi, non solo sportivamente, con altri mondi e altre donne.

A chi detiene il potere nel mondo islamico queste prove di forza culturali non interessano, specialmente perché avvengono negli stessi Paesi che fanno affari coi governi arabi: la Qatar Holding LLC detiene quote di decine di società, quali Siemens, Barclays, Versace, Volkswagen, Sainsbury’s, e questo grazie al surplus delle esportazioni di petrolio e gas da parte del governo. In un mondo dominato dal dio denaro i benefici che le atlete traggono dal divieto di indossare l’hijab sono nulli, anzi, rappresenta un danno enorme.

Io sono atea. Ma non so se esista un modo giusto per vestirsi, se esista una religione più meschina delle altre, non so se quelle donne indossano il velo perché lo vogliono o perché è stato loro imposto e sì, una volta ogni tanto mi piacerebbe chiederglielo. Ma chiederlo a loro, non a Daniela Santanchè e i suoi cloni.

Se vogliamo che tutte le donne siano libere, dobbiamo fare in modo che abbiano prima di tutto i mezzi per scegliere come condurre la propria vita. E i mezzi sono pochi e banali: una casa, un lavoro, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Senza queste cose, una donna continuerà a dover dipendere sempre dal padre o dal marito per sopravvivere, le imposizioni religiose e culturali vengono da qui, e solo partendo da queste cose possiamo liberarcene.