Le dichiarazioni di Davide Serra alla Leopolda sono a dir poco inquietanti. Proporre di limitare la possibilità di sciopero per il settore pubblico è di per sé qualcosa di inammissibile; la motivazione che il finanziere ha addotto, poi, non può che far indignare chiunque abbia un minimo di buon senso. Se sostiene a gran voce che lo sciopero è un costo, Serra non ha idea di quale valore abbia per i lavoratori un diritto conquistato con il sangue. L’aggravante è che oggi ogni cosa sembra sacrificabile di fronte alle esigenze del mercato.
“Lo vogliono gli investitori” è il pretesto che dagli anni Ottanta ad oggi ha accompagnato tutte le manovre deleterie che hanno smantellato lo stato sociale, ridotto la qualità di vita, che adesso pretenderebbe anche di cancellare decenni di lotte e con esse uno dei pochi poteri contrattuali nelle mani dei lavoratori.
È un fenomeno importante che dovrebbe far riflettere su come stiamo rischiando di ottenere l’effetto opposto rispetto all’insegnamento che dovremmo trarre dalla crisi economica. Un tracollo dovuto all’eccessiva libertà del mercato e di quella finanza che Serra tanto elogia, ci spinge a comprendere che il neoliberismo ha fallito del tutto e servono nuovi modelli per l’economia e la politica.
Tuttavia finiamo comunque per dare maggiori poteri ad imprenditori e finanzieri, invece di rivalutare l’importanza basilare del lavoro. Travisiamo la flessibilità, una necessità reale che a determinate condizioni potrebbe garantire grandi opportunità ai giovani, con la riduzione delle tutele (si legga “articolo 18”). Ci ostiniamo a riformare un sistema che non potrà mai funzionare, se non si immetterà in circolo nuova liquidità proveniente dalle casse statali (checché ne pensi Bruxelles).
In una situazione del genere, oggi più che mai, ci vuole coraggio. Innanzitutto è necessario restituire alla politica lo spazio che ha abbandonato alla finanza, perché solo così si potrà finalmente sorvegliare la buona salute del sistema economico ed evitare pericolose speculazioni. Però ciò comporta un netto cambio di rotta: il processo di unificazione europea può essere un buon inizio, ma dobbiamo finalmente guardare in faccia la realtà. Smettiamola di rifugiarci dietro sciocchi pretesti: lo sciopero non si tocca e l’articolo 18 non è certo il responsabile della nostra pessima situazione.
Vogliamo gli investimenti? Bene, cominciamo semplificando la burocrazia e la giustizia civile. Razionalizziamo le risorse tagliando dove si spreca e non su interi settori, alleggeriamo i contributi dei lavoratori e le imposte sulle imprese, ma allo stesso tempo tassiamo i patrimoni e i redditi con una forte progressività. Facciamo rientrare i 91 miliardi di euro annui spariti nel nulla a causa degli evasori, combattiamo la corruzione. Peccato che Serra, nella sua arringa antisindacale, non abbia pensato a questi costi.
Immediatamente la sua dichiarazione è stato criticata un po’ da tutti, all’interno del Pd e anche fuori, quindi la speranza è che si conservi ancora un minimo di buon senso da archiviare quanto è successo come una boutade malriuscita. Ma se vogliamo parlare sul serio di cambiamento, non serve a niente limitare lo sciopero: piuttosto, teniamo d’occhio i mercati.