Se cerchiamo la voce homo oeconomicus sulla Treccani, l’enciclopedia ci spiega che si tratta di
“Un individuo astratto, del cui agire nella complessa realtà sociale si colgono solo le motivazioni economiche, legate alla massimizzazione della ricchezza.”
Appunto, astratto. Il problema è che di fatto l’economia tende a rendere l’homo oeconomicus un soggetto su cui basare le teorie più diverse. Questo è pericoloso, oltre che irrealistico.
Immaginiamo che vi presentino un collega grassottello, che ama la cioccolata ma apprezza anche il caffè. Mentre fate conoscenza, vi propone di andare al bar. Qui il collega, che ha venti euro nel portafogli, li spende tutti ordinando dieci tazze di cioccolata e sette espressi. Un po’ perplessi, gli chiedete se stia aspettando qualcun altro all’appuntamento e quello risponde di no. Allora pensate che forse abbia voluto offrirvi la colazione, anche se un po’ troppo abbondante. Sbagliato: una dopo l’altra, tutte le tazze vengono ingurgitate dal famelico collega. Non c’è neanche il tempo di fare conversazione, perché vuole tornare al lavoro. In tale ambito questo strano tipo si rivela un vero opportunista, disinteressato a qualsiasi rapporto di confidenza con le altre persone e impegnato solo a raggiungere i suoi obiettivi, anche a costo di danneggiare chi gli sta vicino.
Naturalmente un essere del genere sarebbe da evitare come la peste, eppure in molti casi questo è il modello che l’economia classica ha privilegiato. Nulla di nuovo sotto il sole: il nostro sistema è basato sull’egoismo e sull’opportunismo, genera disuguaglianze e addirittura le giustifica in nome di una ferrea logica che ancora ci ostiniamo a difendere. Eppure dovremmo ricordare che l’economia non può essere comparata alla matematica o alla fisica. Quando si è provato a farlo, il tentativo è fallito clamorosamente.
Del resto, è offensivo e degradante ridurre un uomo ad una macchina che ragiona solo per numeri e ricerca nient’altro che la propria utilità. Ciò non vuol dire che non esista un impulso individualista nella natura umana. Anzi, è proprio questo che permette di autoconservarci. Ma dobbiamo ammettere che esiste anche un istinto che va in direzione opposta, verso la solidarietà e la cooperazione. Persino Smith, il teorico della celebre “mano invisibile” che trasformerebbe la ricerca dell’interesse egoistico nell’utilità collettiva, dovette constatare che
“Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla.”
Sta a noi decidere quale istinto far prevalere. Se fino ad oggi ha dominato il primo, adesso è necessario assumerci le responsabilità di un cambiamento radicale. Dobbiamo sostituire il termine “utilità” con “felicità”, che non è un prodotto del denaro ma di uno scambio molto più complesso fatto di beni, servizi, cultura e idee. Valori sociali come l’amicizia, tanto disprezzati dal collega approfittatore di cui sopra, sono le maggiori fonti di ricchezza, perché generano fiducia e da essa nasce l’interesse generale. Dunque cosa resta da fare? Come Nietzsche predicava la morte di Dio come mezzo di liberazione dell’uomo, allo stesso modo dobbiamo far fuori un concetto così sbagliato ed irrealistico da risultare estremamente dannoso. L’homo oeconomicus deve morire.