“Nessun uomo è libero, finché anche un solo uomo al mondo sarà in catene”. È famosa, questa citazione del Comandante Che Guevara. Ed è anche romanticamente vera. Drammaticamente vera, se pensiamo che, secondo lo studio condotto dalla Walk Free Foundation, al giorno d’oggi, nel mondo ci sono 35 milioni e 800 mila persone ridotte in schiavitù.
Ma la schiavitù non è più quella che è presente nell’immaginario collettivo. Non è più solo quella degli schiavi presi in Africa e portati a lavorare nelle piantagioni negli Stati Uniti. Non è più solo quella del lavoro forzato. L’uomo è capace di tante crudeltà e tante miserie.
C’è la tratta di esseri umani. Donne, che per necessità chiedono aiuto, vengono portate da un Paese ad un altro con la promessa di un lavoro o con la promessa di ricongiungersi alla propria famiglia, per venire poi ingannate da gente senza scrupoli, e costrette a prostituirsi. Tratta di essere umani e prostituzione. Spesso vanno a braccetto. Perché sono legate dalla stessa disumana idea. Quella dell’uomo come oggetto, come merce. Un essere umano a cui viene tolta la propria dignità. E non esiste un delitto peggiore.
Vi sono uomini e donne, padri e madri di famiglia, che sono costretti a lavorare per un padrone, con una paga minima e senza alcun diritto, sette giorni a settimana, 365 giorni all’anno. E tutto per saldare un debito, spesso anche piccolissimo, ancora più spesso contratto con l’inganno. È cosi che un padre di famiglia, per dar da mangiare un pezzo di pane ai suoi bambini, o per comprare dei medicinali a un figlio malato, si ritrova con un debito che non riuscirà mai a saldare. Perché, in cambio del suo lavoro, riceve solo il minino necessario per mangiare. Perché viene venduto da un padrone all’altro, a un prezzo maggiore del debito contratto, cosicché l’indebitamento aumenta. È la cosiddetta schiavitù per debito. Una delle meno conosciute, ma una delle più diffuse e terribili. Ricordo la storia di Munoo Bheel,il capo di una famiglia che, grazie alla pressione internazionale, era stata liberata dalla questa schiavitù. Il suo padrone, Abdur Rehman Murri inviò le sue guardie armate a riprendersi tutti. Questa è la schiavitù per debito. Una condanna a vita. Che si tramanda di generazione in generazione. E solo per la colpa di aver fame.
Poi c’è la schiavitù più vigliacca. Quella che colpisce i bambini. Bambini che vengono rapiti, mandati in guerra con un fucile in mano. Quando in mano dovrebbero avere solo un pallone o una macchinina. Senza istruzione. Senza infanzia. Bambini rapiti, sfruttati, spinti sul mercato del sesso. Per il piacere di persone che hanno la coscienza più sporca e lurida di un letamaio. Che allo specchio sono più orrendi di una carogna. Perché cancellare l’innocenza dagli occhi di un bambino è il delitto peggiore e più infame che l’uomo possa commettere.
Sono convinto che già la semplice conoscenza di questi fenomeni può far tanto. Parliamone. Perché, come ha detto Kahlil Gibran: “Mi dicono: se trovi uno schiavo addormentato, non svegliarlo, forse sta sognando la libertà. Ed io rispondo: se trovi uno schiavo addormentato, sveglialo, e parlagli della libertà”. Non nascondiamoci dietro la sicurezza delle nostre vite. Perché, chiudendo, cosi come ho aperto, con il Che, “ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano, che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra”.