Scandali come Mafia Capitale sono sempre un lutto per chi ha la speranza di vedere un Paese libero dalla corruzione e dalla malapolitica. Ma quando vengono coinvolte le cooperative, come in questo caso, è una sferzata ancora più dolorosa. Salvatore Buzzi e la sua intera cerchia di tirapiedi e fiancheggiatori hanno gettato fango su una risorsa preziosa su cui modellare un nuovo sistema economico più giusto. La storia recente del capitalismo ci ha consegnato una visione stravolta dell’impresa, divenuta ormai asservita alla finanza.
Scegliere la cooperazione è un punto fondamentale da cui ripartire. Innanzitutto, essa restituisce all’impresa la dignità che le è stata sottratta dal considerarla come merce qualunque da distribuire tra gli azionisti. La ripartizione dei profitti in proporzione alla quantità di capitale investito è una visione ormai superata, che alimenta le diseguaglianze. Inoltre al giorno d’oggi rendere massimo il profitto non può essere considerato l’obiettivo principale dell’imprenditore, pena l’insostenibilità della sua attività per l’ambiente e la società.
La funzione dell’impresa è infatti molto più rilevante che un semplice mezzo per l’arricchimento personale, basato sullo sfruttamento della manodopera. Essa è il luogo in cui si produce benessere, la fucina delle idee che si trasformano in beni e servizi. Per questo la nuova economia deve riscoprire il valore sociale, che si intende innanzitutto in tre parole d’ordine: democrazia, uguaglianza, giustizia. Il controllo collettivo dei lavoratori sulla cooperativa è la base per una parità che finora è sempre stata claudicante. A parte il momento delle elezioni politiche, nella realtà dei fatti l’uguaglianza assoluta dei cittadini è scarsamente realizzata. Anzi, a volte neanche in quel frangente: accade non poche volte che certi imprenditori (pardon, in tal caso padroni) costringano i dipendenti a votare il candidato protettore.
Per il resto, i mercati premiano chi ha maggiori possibilità economiche e le imprese capitalistiche sono strutturate in una divisione netta tra chi possiede la proprietà dei mezzi di produzione e chi si deve adeguare a percepire il salario. Nonostante i panegirici su quanto sia avanzata la tutela del lavoro in Italia (peccato però che l’art. 18 stia svanendo nel nulla), ciò è fonte di ricatti e soprusi. Nella cooperativa invece si partecipa alla pari e a tal proposito sarebbe ottimo stabilire che le quote sociali versate da ciascun membro siano proporzionali al suo reddito, per garantire equità anche nello sforzo economico.
La proprietà comune evita anche l’effetto “banco di scuola”. Credo infatti che un indicatore dell’importanza data alle istituzioni scolastiche dagli studenti sia la quantità di scritte che imbrattano i banchi. Come l’alunno svogliato rovina la sua classe vedendo quel posto come un luogo di coercizione, allo stesso modo il lavoratore dipendente considera l’impresa. Invece dobbiamo rendere le aziende simili a delle case, e per questo è necessaria per il lavoratore la percezione che l’impresa appartenga davvero a lui. Dunque tolleranza zero per le discriminazioni: per questo sarebbero necessari controlli decisamente più stringenti da parte delle autorità pubbliche e dei sindacati, o ci ritroveremmo semplicemente a cambiare pelle ad un sistema di sfruttamento sempre uguale.
Infine, la giustizia. Redistribuire gli utili ai soci, in proporzione ai loro apporti di lavoro, è un premio per chi produce di più e meglio. I tempi del fordismo sono finiti da decenni e la trasformazione dell’industria richiede nuovi processi in cui le conoscenze di tutti, dagli operai agli esperti di marketing, si fondano in un insieme virtuoso. Sarebbe la transizione decisiva dal “lavoro forzato” a quello creativo, per il quale Marx distingueva gli uomini dagli animali. A proposito di virtù: l’elemento più importante per la cooperazione è una solida base di valori. Se questi non corrispondono al dovere sociale di costruire una comunità migliore, rispettando l’ambiente, i consumatori e i meccanismi di funzionamento democratico, non ha neanche senso avviare un’attività. La via è semplice, e più che un imperativo è un invito: cittadini, responsabilizziamoci!