Quasi quindici anni fa c’era la Moratti, con le sue “tre i”. Poi, a distanza di pochissimi anni, fu la volta di Fioroni e infine della Gelmini. Oggi ci troviamo tra le mani l’ennesima riforma, stavolta firmata Stefania Giannini, che cerca di cambiare l’istruzione nel nostro Paese. Passata un po’ in sordina a causa delle ultime vicende politiche, La Buona Scuola si presenta interessante sotto l’aspetto dell’occupazione di nuovi insegnanti e presenta anche degli incentivi per favorire gli educatori migliori, misure di semplificazione e alcune variazioni nelle materie di studio (più Musica, Sport, Arte, Lingue ed Economia).
Insomma, l’impressione è che si stia cercando di tessere una tela di Penelope. Sposta un’ora qua, introduci una sezione sperimentale là, rimodula le graduatorie lassù, sistema i precari quaggiù: non si può affrontare la questione scolastica come se fosse un trasloco. A viale Trastevere spacciano piccoli cambiamenti per rivoluzioni e non si accorgono che le necessarie riforme radicali, stavolta per davvero, sono altre.
Se infatti mettiamo da parte tutta la retorica sui nuovi Don Milani e il facile ottimismo giovanilista del governo, questo è ciò che rimane. Poco, considerando la premessa secondo cui “se riparte la scuola, riparte il Paese”. E per carità, qui siamo tutti d’accordo. Ma il problema principale risiede proprio in questa affermazione. La scuola è un luogo di fondamentale importanza nella costruzione della personalità, degli ideali e della mentalità di ciascuno di noi. È la fucina in cui si forgiano le menti. Ma forse, tanto per tornare allo slogan di cui sopra, se l’Italia si è fermata è perché anche l’istruzione è rimasta bloccata a modelli ormai invecchiati.
Adesso, cosa volete voi dalla politica? Che assecondi lo status quo o che trasformi la società secondo i principi di democrazia, cooperazione, responsabilità civile? Se la vostra risposta è la prima, potete smettere di leggere. La Buona Scuola ha un’apparenza carina, scanzonata e jovanottiana. Perfetta. Ma se desiderate davvero un’alternativa, sarete d’accordo che non possiamo accettare questo concentrato di moderatismo. Più poteri agli studenti e agli organi collegiali, tanto per cominciare. Il dirigente scolastico non può essere un Leviatano, se ha a che fare con ragazzi che stanno per diventare maggiorenni e devono cominciare ad assumersi precise responsabilità. Vogliamo una “libertà civicamente sostenibile”, che non degeneri nel permissivismo e insegni come si diventa cittadini maturi. Ma prima è di cruciale importanza liberarci di alcuni tabù. Ad esempio, cominciamo a parlare di Educazione Sessuale. No, non uno dei suoi simpatici surrogati: intendo un vero programma formativo, come quello preparato dall’Oms.
E se vogliamo istituire dei corsi sperimentali, facciamolo con serietà. Apriamo i nostri orizzonti. All’estero si parla da non poco tempo di “apprendimento cooperativo”, che permette gli studenti di unire spirito d’iniziativa e collaborazione. Invece l’attuale organizzazione piramidale dirigente-insegnanti-studenti è lo specchio della gerarchia capitalistica. Naturale che il giovane, terminati gli studi, rifletta nella vita lavorativa questo ordine. Così ritorniamo al frustrante rapporto tra principale e dipendente, equivalente della contrapposizione tra primi e ultimi della classe. Ma noi non ci stiamo.
La scuola deve diventare il prototipo della comunità futura, una cooperativa che produce valori positivi. Ecco, adesso immaginate una o due generazioni cresciute con la consapevolezza che il lavoro è dignità e l’uomo è più importante del capitale. Durante la loro vita, questi ormai ex-studenti applicheranno tali principi nel mondo dell’impresa, dunque lo trasformeranno dall’interno. E se cambiano i rapporti economici, si modifica tutto il resto della società. Nel 2008 il Parlamento europeo ha persino emanato una risoluzione in cui “esorta gli Stati membri a prevedere progetti formativi, nell’istruzione superiore e universitaria e nella formazione professionale, volti a trasmettere la conoscenza dell’economia sociale e delle iniziative imprenditoriale fondate sui suoi valori”.
Si tratta solo di avere la volontà giusta per tornare a credere di poter cambiare la nostra vita. Perché il sogno di un mondo più giusto, più umano, più felice potrà anche addormentarsi per un po’, ma non morirà mai. E quando si risveglia, è lì che viene il bello. La rivoluzione comincia tra i banchi di scuola.