Quando arrivai a Mumbai avevo 14 anni e mi venne detto che avrei dovuto rendere gli uomini felici. A quel punto ho capito di essere stata venduta. Sono scoppiata in lacrime. Il padrone del bordello ha cominciato a picchiarmi e minacciarmi di morte puntandomi un coltello alla gola, diceva che da morta la gente avrebbe sputato sul mio cadavere. Gli dissi che avrei preferito morire piuttosto che fare la prostituta, mi hanno torturato, ma ho resistito. Non mi hanno dato da mangiare per sette giorni e ho perso le energie per combattere. Più tardi mi hanno venduta a un altro bordello dove ho subito una violenza di gruppo e ho iniziato a fare la prostituta.
Nel 1996 Sunita Danuwar (oggi trentaseienne) è stata salvata da un raid della polizia, insieme ad altre 128 minori nepalesi.
Ci sono circa 200 mila ragazze nepalesi nei bordelli indiani (dati UNICEF del 2014). In Nepal, su una popolazione di 28 milioni di persone, 7 milioni si trovano sotto la soglia della sopravvivenza. Ma non è solo un problema di povertà: secondo l’UNESCO i due terzi degli analfabeti nel mondo sono donne. La schiavitù, nel mondo, coinvolge oltre 11 milioni di donne e bambine e nella sola Asia si concentra oltre la metà degli schiavi moderni (uomini e bambini compresi).
Maiti Nepal e altre ONG che operano contro il traffico umano hanno salvato decine di migliaia di ragazze dai bordelli, offrendo loro la possibilità di imparare un mestiere all’interno dell’organizzazione. Ma molte ONG, operanti nel Paese dal 1990, mancano di organizzazione e trasparenza, l’82% risulta addirittura “inattivo”. Anhurada Koirala, fondatrice di Maiti Nepal, dice che il problema per le vittime del traffico è che non ci sono opportunità di lavoro e di educazione per le donne. Il Nepal soffre infatti di una forte disparità di genere: all’interno della famiglia bambine e ragazze hanno di fronte a sé ostacoli culturali oltre che economici. Solo il 20% delle giovani donne islamiche, ad esempio, è andata a scuola, percentuali simili si trovano anche fra le Dalit, la casta degli intoccabili. Le donne, inoltre, non hanno facilmente accesso alle cure mediche, spesso si sposano giovanissime (letteralmente vendute dal padre al futuro marito) e raramente possono muoversi fuori casa senza essere accompagnate da un uomo. In un contesto simile per una ragazza salvata da un bordello, il reinserimento e l’indipendenza economica sono traguardi praticamente irraggiungibili.
Ma quella del Nepal non è solo una storia di religione ed economia. Quella di ciascuna bambina nepalese che finisce a fare la prostituta in un bordello indiano, è la storia del mondo in cui viviamo tutti, un mondo in cui essere donna, a volte, non ti qualifica come essere umano.