Ciclicamente, all’avvicinarsi dell’anniversario della morte di Enrico Berlinguer si rifanno vivi due tipologie di individui, opposti ma ugualmente da impallinare a vista: la prima comprende quelli che devono spalare fango a prescindere su Enrico, l’altra si compone dei tanti ex- che non hanno fatto una mazza dopo di lui, vanno sulla sua tomba a piangere ma poi dicono: “Non fece abbastanza“. Tradotto: rimase comunista e l’89 ce lo siamo dovuti gestire noi.
Partendo dalla premessa fondamentale che Berlinguer fece i suoi errori e che non era perfetto (non era la Madonna, per dirla alla Scalfari), va detto che leader politici come lui per spessore morale, intellettuale, politico e umano non ne abbiamo più avuti. Altrimenti non ci sarebbero milioni di persone, che pure non votavano il PCI, a rimpiangerlo (su www.enricoberlinguer.it sono 450mila, di cui un terzo sotto i 30 anni). Le sue analisi politiche, calate nel contesto storico in cui viveva, sono di una profondità e acutezza insolite anche per l’epoca, che pure vantava grandi intellettuali e poteva contare su una vivacità culturale oggi assolutamente sconosciuta. Anche quelle più controverse, come quella sul compromesso storico o quella sull’eurocomunismo.
La stragrande maggioranza di quello che lui diceva, però, è straordinariamente attuale: dalla questione morale alle riflessioni sui giovani, il sistema capitalistico, le donne, la pace… le sue parole potrebbero essere traslate tali e quali e nessuno si accorgerebbe che si tratta in realtà di parole pronunciate 30-40 anni fa. Il rischio, che purtroppo non siamo riusciti ad evitare nonostante il nostro lavoro di analisi critica del lavoro di Berlinguer (riassunto qui), è che qualcuno lo usi come santino da sventolare alle occasioni elettorali più propizie, salvo poi dimenticarsi il suo esempio cinque minuti dopo.
Detto questo, per quelli che, anche dopo 31 anni dalla morte, tentano in continuazione di infangare il nome di Enrico Berlinguer, semplicemente per far passare il messaggio che erano tutti uguali e che non è mai esistito un modo di fare politica diverso da quello che vediamo oggi, vanno bene le parole di Antonio Gramsci, sui costruttori di soffitte:
Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. È il solito rapporto tra il grande uomo e il cameriere.
Fare il deserto per emergere e distinguersi.
Una generazione vitale e forte, che si propone di lavorare e di affermarsi, tende invece a sopravalutare la generazione precedente perché la propria energia le dà la sicurezza che andrà anche più oltre; semplicemente vegetare è già superamento di ciò che è dipinto come morto.
Si rimprovera al passato di non aver compiuto il compito del presente: come sarebbe più comodo se i genitori avessero già fatto il lavoro dei figli. Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro… ma essi non l’hanno fatto e, quindi, noi non abbiamo fatto nulla di più.
Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali, ma non siete capaci che di costruire soffitte.”
Ecco, anziché stare a discutere di quanti piani ha costruito Enrico Berlinguer, usiamo quel che ha costruito lui per non limitarci alle soffitte. Anzi, costruiamo un nuovo palazzo, visti i danni alle fondamenta che hanno fatto quelli che hanno ereditato il vecchio con le loro soffitte traballanti.
P.S. Mercoledì a Milano ricordiamo Gramsci. Info qui.