Le forze del Partito Popolare Europeo al governo del Portogallo non riescono a confermare la maggioranza assoluta alle ultime elezioni legislative e la sinistra – fatto più unico che raro – riesce a compattarsi: socialisti, comunisti ‘ortodossi’, trotskisti e verdi, riuniti nella figura di Antonio Costa, ex sindaco socialista di Lisbona, chiedono formalmente di essere ricevuti dal presidente della Repubblica per la costituzione di un governo che fermi l’austerità.
Sfruttando i suoi poteri costituzionali, il Presidente della Repubblica, il signor Cavaco Silva, affida l’incarico ai popolari, rei di aver perso ben l’11% dei consensi. La motivazione? Il Paese, secondo Cavaco Silva, e la volontà del suo governo devono trovarsi in sintonia con il progetto dell’Unione Europea e dell’Eurozona, o altrimenti cadrebbe di nuovo nella catastrofe. Non ci sono alternative, dunque, di sinistra: il centrodestra liberista deve rimanere al governo, seppur minoranza nel Paese.
Quanto accaduto in Portogallo è passato inosservato dalla grande stampa italiana. Oltre Manica ha avuto invece più eco, amplificato in particolar modo dal quotidiano a orientamento conservatore The Telegraph.
O Europa o morte, dunque. Al dogma che vuole il rigore dei conti assoluto, dell’austerity selvaggia che smantella lo stato sociale, vera conquista della democrazia europea, non ci si può opporre. L’unica strada che i politici asserviti alle tecnocrazie europee sono in grado di prendere è quella di un tacito accondiscendere alla macelleria sociale in nome di un patto di sangue stipulato con l’Eurozona e con l’Unione Europea.
Se questa è Europa, in Portogallo muore l’Europa molto più di quanto sia morta in Grecia, dove le forze della Sinistra hanno strenuamente lottato per la libertà del proprio popolo e di tutti quelli d’Europa.
La speranza, forte, è che il caso portoghese dell’unione fra socialisti e comunisti rompa il leitmotiv che vuole la socialdemocrazia europea fiancheggiare la follia neoliberista come stretto alleato sia a Bruxelles che nei parlamenti degli stati nazionali. È ora di rimettere al centro l’uomo, e non gli interessi del capitale.
La situazione del Portogallo non può essere equiparata a quella greca.
La Grecia è uno Stato in bancarotta, che ha più volte rinegoziato il debito (ovvero la versione presentabile del default parziale) la cui sopravvivenza a un anno è subordinata ad aiuti finanziari a fondo perduto che solo la Troika può dare (ovviamente con contropartite politiche, visto che i soldi è scontato che sono regalati).
Il Portogallo è un paese in bonis che è esposto alle incertezze dei mercati finanziari per la propria debolezza economica. Un suo governo, insomma, non sarebbe un governo d’emergenza (“arriviamo a domani e poi vediamo”), ma uno con qualche margine di manovra, anche se limitato.
Certo, finché la sinistra sarà solo “basta austerity” sarà un bene che stia lontana dalle leve del potere: i soldi non crescono sugli alberi e non siamo più un ristretto circolo di europei che può vivere alla grande sulle spalle di miliardi di poveri. E’ ora che a sinistra si riscopra che la sua vera anima non è “prendiamo in prestito soldi per regalarli a tutti”, ma si trova nel concetto di redistribuzione di risorse limitate. Ecco, una volta che le sinistre avranno compreso questo, sarà auspicabile che governino, ma fino ad allora qualche folle golpista potrà sempre pensare che far andare su il comunista euroscettico significherà solo pompare spesa pubblica in deficit con buona pace del domani…
Il Portogallo è in bonis rispetto a che? Alle politiche europee? Vero (in parte) ma in deficit di crescita.
E’ in bonis perché non è fallito, a differenza della Grecia.
Non c’è alcun golpe, il presidente sta operando secondo le regole costituzionali che comunque non danno al psd il diritto di governare subito, prima i fatti è necessaria la fiducia del parlamento che probabilmente non verrà concessa
Forlini Alberto Ma la fiducia a che se non viene dato l’incarico?
Vi prego di leggere l’articolo: è davvero illuminante. C’è nè uno analogo su Repubblica.