Ogni giorno, pressoché a qualunque ora, se accendiamo la televisione, potremo osservare programmi a tema culinario. I fini possono essere diversi: mostrare passo passo una ricetta, mettere in competizione alcuni (aspiranti) cuochi per elaborare qualche leccornia o, più semplicemente, analizzare un’ingrediente, una “materia prima”, come si suol dire. Sono spettacoli sotto diversi aspetti interessanti, ma deficitari. Uno dei più critici è Carlo Petrini, fondatore del movimento “Slow Food”: “Quella non è gastronomia, è solo una parte della gastronomia, possiamo dire il 10%”. Secondo Petrini la mera applicazione della ricetta deve essere accompagnata e completata con una conoscenza antropologica, biologica, economica e sociologica, in modo da avere una visione complessiva multidisciplinare della gastronomia. È assai difficile che un concorrente di uno show sappia quanta acqua o energia sia stata necessaria per gli ingredienti che si affretta a buttare in padella. “Se si esagera sul fronte degli show televisivi, il rischio è di non fare cultura, ma pornografia alimentare”.
Gli show televisivi trasmettono, dunque, una visione molto parziale di ciò che dietro la storia dei singoli ingredienti e della loro unione all’interno del piatto. Questi, tuttavia, non sono altro che la punta di un iceberg fortemente malato, quale è il nostro sistema alimentare.
Lo spreco di cibo è uno dei problemi più gravi. Eppure, proprio nei programmi televisivi dove si millanta cultura alimentare, di frequente vengono scagliati piatti colmi di cibo contro un muro o dentro una pattumiera.
Quello attuale è un sistema con perdite su ogni fronte. In Europa si arriva a buttare 88 milioni di tonnellate di alimenti all’anno; l’Italia fa la sua parte, con 5 milioni (circa 179 kg pro capite). Dati che si scontrano con una realtà che non può sopportare tali sprechi: secondo i dati di Eurostat, 55 milioni di cittadini europei non potevano permettersi un pasto di mediocre qualità neanche ogni due giorni. Una cattiva alimentazione, naturalmente, causa disfunzioni dell’organismo, le cui cure vanno a gravare sul sistema sanitario, che, almeno quello italiano, ne farebbe volentieri a meno.
Le istituzioni si stanno, fortunatamente, muovendo per migliorare la situazione: l’Unione Europea il 16 maggio si è impegnata ad adottare una serie di misure per ridurre lo spreco alimentare del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030. Sul fronte italiano a settembre dello scorso anno è stata approvata la «legge Gadda», che ha il fine di ridurre il cibo buttato lungo le catene della produzione e della distribuzione, favorendo le donazioni. Le iniziative non hanno tardato a presentarsi: ad esempio, nel savonese, alcune Onlus si sono ripromesse di recuperare le eccedenze alimentari prodotte a bordo delle navi da crociera e di donarle ad una struttura dedicata ai minori di Varazze.
Proprio i minori rappresentano le prime conseguenze negative del nostro sistema: circa il 21% dei bambini è sovrappeso, quasi il 10% soffre di obesità e il 25% non assume sufficienti quantità di frutta e verdura. La direzione intrapresa dalle istituzioni è quella corretta, ma ancora molto deve essere fatto all’interno delle scuole. Un esempio virtuoso si trova in Giappone: il governo sostiene lo Shokuiku, l’educazione su cibo e nutrizione. Per gli scolari non si tratta solo di assumere cibi sani bilanciati dal punto di vista nutrizionale, ma di promuovere la conoscenza e il rispetto degli alimenti. I tre pilastri della Shokuiku sono: coltivare la capacità di giudizio sugli alimenti; promuovere la comprensione della cultura alimentare tradizionale; incoraggiare un atteggiamento di rispetto della vita e della natura attraverso il cibo.
Il nostro sapere tradizionale, spesso imitato maldestramente nella ristorazione estera, non deve essere fine a se stesso. Dobbiamo iniziare a renderci conto di cosa stiamo affettando, bollendo o grigliando. È necessario un maggiore sviluppo della cultura gastronomica sia a livello statale, sia nella sfera sociale più ristretta, la famiglia.
in America ancora peggio, per far salire i prezzi…
In Romagna hanno distrutto quantità industriali di pesche per tener su i prezzi.
Che schifo..
Ma come è possibile tutto ciò?