La piazza di sabato era qualcosa di indescrivibile. Lo era a tal punto che ben due turiste, una brasiliana prima e una russa poi, mi hanno chiesto sbalordite cosa stesse succedendo e quando hanno saputo che la mobilitazione era per i diritti dei migranti e la dignità umana in generale contro il razzismo quasi non ci credevano. “Nel mio paese in genere protestano solo per i propri diritti“, ha concluso la turista russa. “Wonderful“.
Non era una manifestazione di “sinistra” in senso stretto, era una manifestazione di popolo e c’erano proprio TUTTI quelli che credono in una società diversa da quella fondata sull’odio e sulla paura che piace tanto a chi sta al governo. Quella dei capri espiatori, che sono sempre quelli alla base della piramide, mai chi sta ai vertici.
La stragrande maggioranza di quel popolo, che è un popolo che si riconosce nei valori e negli ideali di una società aperta, plurale e dove vengano rispettate tutte le libertà tranne quella di sfruttare il lavoro di altri esseri umani, non ha una adeguata rappresentanza politica. Non è un problema di partito, è un problema anche di cultura.
La netta vittoria di Zingaretti, che per la sua campagna alle primarie ha usato proprio lo slogan “Prima le Persone“, archivia una stagione a sinistra e nel PD di ubriacatura per l’uomo della Provvidenza, che come avevamo previsto 5 anni fa (in misura molto più contenuta rispetto al disastro attuale) avrebbe prodotto solo danni. Quello stile prettamente craxian-berlusconiano dell’era Renzi può portare al 40% (quando va a votare solo il 50% dell’elettorato), ma sul lungo periodo l’arroganza, le battute, il disprezzo per le minoranze non pagano. Tanto che Renzi ha portato il PD al suo minimo storico.
Zingaretti non può fare l’anti-Salvini ma l’auspicio è che ricucia le ferite e gli strappi inferti dall’era Renzi, ricostruendo un orizzonte politico che ricompatti un popolo attorno a un’idea di società diversa, che passi da una cultura di sinistra aperta e plurale con ideali non negoziabili e, soprattutto, politiche coerenti con l’elettorato che la Sinistra ha smesso di rappresentare.
Combattere la povertà, garantire a tutti un lavoro con uno stipendio dignitoso, non significa indugiare nell’assistenzialismo, significa togliere terreno sotto ai piedi alle polemiche populiste di Salvini e soci: così si combatte il sovranismo forte coi deboli e debole coi forti, evitando guerre tra poveri e cominciando a indirizzare le nostre attenzioni a chi si è arricchito sempre di più e queste guerre fratricide le incoraggia per mantenere intatte le proprie rendite e privilegi.
Tutto ciò significa non solo tornare tra la gente, ma cominciare a lavorare “per la gente”. Quanti attuali dirigenti del centrosinistra sono disponibili a rinunciare ai salotti e scendere dall’Olimpo nel quale si sono rintanati (e rintontiti)? Vedremo.
Noi comuni mortali facciamo in modo che anzitutto nel nostro piccolo quel “Prima le persone” non resti un mero slogan o il titolo di una manifestazione.