Avete presente quella scena del terzo episodio di Star Wars quando Obi-Wan Kenobi urla al suo ex-padawan Anakin Skywalker: “Sei diventato ciò che avevi giurato di distruggere?” Ecco, si potrebbe riassumere così la disfatta politica in Umbria, ultima dimostrazione del problema di fondo della Sinistra in Italia oggi: la totale mancanza di identità.
A destra si sa come la pensano, a sinistra non si è d’accordo nemmeno sulla parola. Tanto che alla vigilia del trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino suonano tristemente attuali le parole di José Saramago poco prima di morire: “La Sinistra non ha la benché minima schifosa idea di come debba andare il mondo“.
Ma il vero problema è il combinato disposto della mancanza di identità con la bulimica voglia di potere, sguaiata durante il periodo renziano ma connaturata anche a chi doveva esserne l’alternativa sul fronte interno. Un connubio che rende ancora più intollerabile presso l’opinione pubblica la questione morale che giganteggia nell’indifferenza dei gruppi dirigenti.
E risuona l’eco di un Enrico Berlinguer che il 20 febbraio 1976, in pieno Parlamento, denunciava “i malanni e i guasti più rilevanti – quelli del sottogoverno, del clientelismo, delle spartizioni del potere, delle confusioni tra pubblico e privato, delle commistioni tra potere politico e potere economico, dell’inceppamento dei meccanismi del controllo democratico, dell’abitudine all’impunità” e affermava che “siamo di fronte a un decadimento, a una perdita di autorità politica e morale dei gruppi dirigenti; e siamo di fronte al rischio che in qualche misura sia offuscato quel cardine della democrazia costituito dal sistema dei partiti, e quella conquista della Resistenza che fu la costruzione dei grandi partiti democratici di massa“.
Lo stesso Berlinguer che nella battaglia interna contro quei dirigenti che poi negli ultimi 35 anni hanno invano cercato di seppellirlo perché “poco moderno” metteva in guardia dal trasformare il PCI in “un partito elettoralistico, un partito all’«americana», cioè un partito che penserebbe solo a prender voti, che svaluterebbe il lavoro a diretto contatto con la gente per aiutarla a ragionare, a organizzarsi e a lottare, che svuoterebbe di ogni contenuto la milizia politica, che penserebbe solo ad avere più deputati, più senatori, più consiglieri, più assessori, più posti di potere“, facendo presente che “non sono forse l’elettoralismo e la caccia al potere per il potere i vizi degli altri partiti ai quali si vorrebbe che noi ci omologassimo?“
Lo stesso che sempre in quell’articolo pubblicato su Rinascita il 6 dicembre 1982 affermava che “veti e sospetto cadrebbero, riceveremmo anzi consensi e plausi strepitosi dai nostri sollecitatori, se ci rinnovassimo nel senso apparente e fasullo da essi suggerito e auspicato, ossia se cambiassimo la nostra natura e divenissimo «uguali agli altri», se abdicassimo alla nostra funzione trasformatrice, dirigente, nazionale, se decidessimo di «recidere le nostre radici pensando di fiorire meglio», ciò che sarebbe – come ha scritto di recente François Mitterrand – «il gesto suicida di un idiota». Non ci può essere inventiva, fantasia, creazione del nuovo se si comincia dal seppellire se stessi, la propria storia e realtà.“
A Sinistra negli ultimi 30 anni si sono preoccupati così tanto di dimostrarci che non erano più (e in alcuni casi non erano mai stati) comunisti che non si sono minimamente preoccupati di definire cosa volessero diventare e soprattutto che risposte dare al proprio elettorato di sempre, i poveri, gli emarginati, gli svantaggiati, facendo la fine del Partito Socialista di Craxi, travolto dagli scandali e arroccato su se stesso per difendere poltrone e potere.
L’Umbria è il paradigma, uno dei tanti ma certo il più eclatante, di questa degenerazione: assunzioni in cambio di voti unite a spartizioni, tutte interne al centrosinistra, nelle comunità montane, nelle istituzioni pubbliche, negli enti e ovunque ci fosse possibilità di avere o gestire potere. Sullo sfondo: l’incapacità di ridare slancio al territorio garantendo lavoro e coesione sociale, i cardini della politica del PCI, sulla cui eredità i suoi successori hanno vissuto senza preoccuparsi minimamente di continuare a coltivare un radicamento nella società, anzi, procedendo per inerzia perché “storicamente” era una regione rossa.
Nel momento in cui però il partito ha smesso di essere rosso, sono venuti meno anche i voti identitari: gli elettori, merito anche degli scandali e delle patetiche pantomime della governatrice uscente che ha rassegnato le dimissioni per poi votarvi contro in Consiglio, salvo riconfermarle, alla fine hanno scelto Salvini perché il centrodestra non ha mai governato e, piaccia o non piaccia, garantiva un’alternativa ai corrotti e agli incapaci (che poi abbia vinto una che da sindaco ha creato un milione e mezzo di buco di bilancio è un’altra storia).
Quante batoste elettorali bisogna prendere prima di capire che è ora di smetterla con i tatticismi, con i carrozzoni elettorali, con l’assenza di idee e ideali e con i segretari a mezzo servizio? Soprattutto, che la Sinistra non vive e non vince senza valori ideali, come diceva Enrico Berlinguer?