Sono la madre di Roberto Antiochia

Ci sono storie che in questa Italia degli scandali (e delle commemorazioni di rito per pulirsi la coscienza) vengono troppo spesso dimenticate, e non dovrebbero. Se è nato questo blog, è anche per questo: per tenere viva la memoria soprattutto degli eroi che non fanno notizia perché sono scomodi. Tra questi nostri eroi, c’è sicuramente Saveria Antiochia.

Il nome forse ai più non dirà niente. Del resto, nemmeno a me diceva niente fino a qualche tempo fa. E come poteva dirmi qualcosa, visto che Saveria si spegneva in una clinica romana dieci anni fa, quando io e quelli della mia età pensavamo beatamente e candidamente alle figurine, ai videogiochi, ai Pokemon? Per fortuna, mi sono imbattuto in una sua bellissima lettera, pubblicata su Repubblica il 22 agosto del 1985.

E a rileggerla oggi, come per i discorsi di Enrico, di Sandro e di tutti i Grandi con la G maiuscola, potrebbe benissimo essere riscritta oggi, cambiando solamente i cognomi dei protagonisti.

Saveria era la madre di Roberto Antiochia, poliziotto, in servizio a Roma, ma che per un periodo aveva prestato servizio nella leggendaria squadra catturandi di Palermo, tra gli uomini di Cassarà e Montana.

Ninni Cassarà e Beppe Montana avevano un’unica colpa: avevano preso troppo sul serio il loro ruolo. Perché loro, a differenza di quello che era successo fino a quel momento a Palermo, i latitanti li cercavano per davvero, e li prendevano anche. Intollerabile per Cosa Nostra, che ne firmò le condanne a morte.

La prima, il 28 luglio del 1985, al molo di Porticello, a venti chilometri da Palermo: Beppe Montana rientrava con il suo piccolo motoscafo, quando due uomini gli spararono quattro colpi di 38 special alla testa. Erano ben informati sui suoi movimenti, tanto che i killer erano due perché si aspettavano che, come da consuetudine, ci fosse anche Cassarà assieme al collega, ma quel giorno non c’era.

E dunque, la seconda esecuzione avvenne il 6 agosto del 1985, alle 15:20, in via Croce Rossa 81, proprio davanti alla casa del commissario: colpi di kalashnikov a non finire. E sotto quei colpi, cadde anche Roberto Antiochia, che aveva insistito a rimanere qualche giorno in più a fare da scorta al suo ex-capo, il quale ovviamente una scorta sua non ce l’aveva e andava avanti con volontari.

Ed è qui che si inserisce la rabbia di Saveria, che scrivendo all’allora ministro dell’Interno del Governo Craxi, Oscar Luigi Scalfaro, denunciava: “Li avete abbandonati”. E incalzava: “Giusto, signor ministro, niente bugie di Stato, e lasciamo da parte la retorica del sacrificio fatto per servire lo Stato. Mio figlio è morto per la Squadra mobile di Palermo, per la sua Squadra mobile. E’ morto nel volontario, disperato tentativo di dare al suo superiore e amico Cassarà un po’ di quella protezione che altri avrebbero dovuto dargli (…) Per questo provo tanta amarezza e tanto rancore verso questo potere governativo cieco e sordo che è pronto, rapido ed efficiente per i decreti “Berlusconi” o per trovare i fondi che raddoppiano il finanziamento ai partiti, mentre manda a morire indifesi, per carenza di mezzi e di volontà, uno dopo l’altro, gli uomini migliori delle forze dell’ordine e della magistratura.

L’Italia scoprì, in quella occasione, che una madre di un poliziotto poteva scrivere una lettera; di più, scoprì che si potevano scrivere parole così dure, documentate e inesorabili a un uomo di governo. Una madre che era stata in grado di denunciare l’indifferenza del governo alla lotta alla mafia meglio di qualsiasi altro parlamentare di opposizione.

Saveria andò avanti per anni nella sua lotta contro la mafia e contro l’indifferenza dello Stato. Lo fece anche durante il governo dell’Ulivo, che tra riforme epocali della giustizia e Bicamerali aveva smarrito per strada le sue promesse (cfr il libro La convergenza di Nando Dalla Chiesa per ulteriori delucidazione sull’Abdicazione del centrosinistra in quegli anni).

Si spense nel marzo del 2001. E’ in nome delle ribelli come lei che la nostra lotta non può interrompersi. Questo blog è nato anche per questo. E sono sicuro che Enrico avrebbe apprezzato lo sforzo che noi ragazzi di vent’anni cerchiamo di fare nel combattere la corruzione, la mafia e il malcostume. Un eroe è la punta di diamante dell’evoluzione dell’uomo, è colui che va oltre i confini: eroi forse non lo saremo mai, ma se nemmeno facciamo lo sforzo di assomigliare a persone come Saveria, Loro hanno già vinto e vinceranno per sempre.

9 commenti su “Sono la madre di Roberto Antiochia”

  1. Quante mamme (e mogli e figli) hanno pianto i loro figli (mariti, padri) uccisi dalla mafia e poi dimenticati dallo Stato. Lo stesso Stato che non si tirava indietro con leggi ad personam a favore di Berlusca, ieri come oggi.

  2. come possiamo sperare che qualcosa cambi quando sono i politici a essere in primis mischiati con la mafia , e soprattutto non si preoccupano per niente di fare qualcosa per noi. tale craxi tale berlusca, ossia merda prima e merda adesso…………

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