“E’ incredibile quanta cocaina possano sniffare questi broker ed il giorno dopo andare al lavoro” (Jonayhan Alpert, terapeuta)
Il documentario si apre con una serie di scorci sulla splendida Islanda, definita da molti la “società ideale”, caratterizzata da ottime istituzioni, una buona sanità, un alto livello di istruzione, energia pulita ed un bassissimo livello di disoccupazione. Negli ultimi anni però politiche di deregulation finanziaria promosse dalle banche hanno portato il paese sull’orlo del fallimento economico (il tanto temuto default, termine che ricorre spesso in questi giorni in merito alla crisi greca). Agenzie di rating classificarono a suon di triple A le banche islandesi come molto solide solo qualche giorno prima del collasso finanziario del paese insulare avvenuto nell’estate 2008. I fatti islandesi anticiparono i guai che avrebbero colpito in poco tempo gli USA ed il mondo intero.
Diretto da Charles Ferguson e narrato da Matt Demon, il film fu presentato al festival di Cannes nel 2010 ed ottenne l’oscar come miglior documentario nel 2011.
Il film ripercorre le origini della crisi economica e finanziaria mondiale che si verificò dopo la bancarotta della famosa banca di investimenti Lehman Brothers nel settembre del 2008. Attraverso un’analisi lucida e critica il regista si spinge a ricercare le cause più profonde del collasso economico nei lontani anni ’80, pervasi dalla fiducia nel libero mercato, dominati dall’ortodossia del neoliberismo economico del Washington consensus e di alcuni governi di destra come quello di Ronald Reagan negli Usa, principale artefice della deregulation bancaria che comportò la fusione di banche e la possibilità di investimenti rischiosi.
Si ripercorrono poi i fatti degli anni ’90 e di inizio secolo, focalizzando l’attenzione sul nascente processo di globalizzazione e soprattutto sulle pesanti colpe delle amministrazioni Clinton e Bush junior e senior, ree secondo il regista non solo di non aver posto un freno al crescente strapotere dei colossi bancari (Goldman Sachs, Merrill Lynch, Lehman Brothers…) ma di aver continuato il processo di deregulation dell’era Reagan, con la complicità e l’appoggio della Fed ( la banca centrale americana, s.p.a come la BCE).
Il documentario è reso molto accessibile anche ai neofiti della materia in quanto le testimonianze e le opinioni di tutti gli intervistati sono corroborate dall’uso di grafici, utili ,oltre che a contestare falsità e approssimazioni , a comprendere statistiche, dati e strumenti finanziari complessi, come i credit default swap o la catena di cartolarizzazione, un intreccio affaristico tra banche di investimento, agenzie di rating e creditori, che fu la causa principale della crisi dei mutui subprime statunitensi del 2007.
Viene dato ampio spazio alle interviste di quelle che sono considerate le personalità del mondo economico statunitense: amministratori di banche, brocker, politici, governatori e importanti accademici vengono continuamente interrogati alla ricerca dei colpevoli, alla ricerca di chi questa crisi l’ha provocata.
Da qui il titolo “Inside job”, ossia “colto con le mani in pasta”. Dalle interviste emergono le indiscusse responsabilità ed i conflitti di interesse di personaggi come Allan Greenspan e Ben Bernanke, precedente ed attuale presidente della Fed, Larry Summers e Robert Rubin, titolari del Dipartimento del tesoro nell’era Clinton ed Henry Paulson, al Tesoro anch’esso però nell’era Bush (tutti costoro rifiutarono di farsi intervistare da Ferguson). Importante ricordare anche come le interviste di celebri personalità accademiche mostrino la loro collusione con alcune società finanziarie.
Oltre a queste personalità negative vengono individuati anche personaggi molto positivi, coloro i quali previdero l’imminente crisi e non furono però ascoltati dalle amministrazioni statunitensi e dalla FED (come Raghuram Rajan, autore di un dossier sulla deregulation, Robert Gnaizda, a capo della Greenline a difesa dei consumatori, e, incredibile ma vero, Dominique Strauss-Kahn, ex presidente FMI accusato di stupro e poi assolto).
Amaro il finale che mostra come anche la progressista amministrazione Obama sia in realtà composta da molti banchieri.
Poche considerazioni personali e un’analisi attenta dei fatti rendono il documentario un titolo molto valido. Regia e montaggio eccellente. Ottimo il doppiaggio in italiano. Buona anche la scelta della colonna sonora (il film si apre con la splendida Big Time di Peter Gabriel). Tutte queste considerazioni rendono Inside job un documentario da vedere assolutamente, anche alla luce dei fatti greci di questi giorni.
Non male l’articolo :)