«Oggi è il mio ultimo giorno a Goldman Sachs». Comincia così la lettera apparsa sul New York Times con cui Greg Smith spiega le dimissioni da direttore esecutivo di una delle banche d’affari più note del pianeta. Un vero e proprio atto d’accusa, da parte dell’oramai ex-responsabile dei prodotti derivati in Europa, Medio Oriente e Africa: dopo 12 anni di carriera, Smith accusa i vertici della Goldman di aver spazzato via quella cultura d’impresa che in 143 anni avrebbe reso grande la banca d’affari; una cultura d’impresa fondata sull’integrità, l’umiltà e sull’interesse dei clienti.
Oggi l’interesse dei clienti, accusa Smith, è passato in secondo piano e la colpa di questo declino morale sarebbe tutta dell’attuale amministratore delegato (Lloyd C. Blankfein) e dell’attuale presidente (Gary D. Cohn).
Che dire, non che ci volesse Greg Smith per intuire la spregiudicatezza dei vertici di Goldman Sachs, per nulla interessati ai loro clienti, ma solo ai propri dividenti, il fatto però che qualcuno interno alla banca metta nero su bianco tutte queste cose è sbalorditivo: la dimostrazione di quello che andiamo ripetendo da mesi (chissà se Mario Monti la pensa allo stesso modo).
un commentatore de ilpost, che ha riportato la notizia, ha espresso un punto di vista interessante su come andrebbe interpretata la notizia:
“il tizio non se ne va piangendo la sorte del piccolo investitore sbranato dalla cattiveria del sistema finanziario internazionale, non piange la vecchina cui hanno rifilato i bond greci alla filiale di campagna, dice che si è passati dall’inchiappettare (se necessario) i mercati assieme al cliente (che non è il piccolo correntista, è gente che si fa quotare in borsa, zuckerberg e compagnia cantante per intendersi) al voler inchiappettare ANCHE il cliente pur di guadagnare come banca. L’intermediario finanziario che non cerca più guadagno nell’intermediazione, ma nella speculazione privilegiata su detta intermediazione. E’ diverso, e più grave (anche se non mi pare una grossa novità in sè).”