ADDIO. Quel titolone dell’Unità, nascosto sotto al tavolo, gli occhi lucidi, com’erano quelli di chiunque apprese la notizia, la terribile notizia, che Enrico non c’era più. Stroncato da un ictus, su quel palco a Padova. Come ebbe a dire Roberto Benigni in quei drammatici giorni: “Enrico, morire a 62 anni è come nascere a 24 mesi: uno non ci crede.“
Eppure, in quei 4 drammatici giorni di quel caldo e torrido 1984 Enrico Berlinguer ci lasciò. Era l’11 giugno, alle 12:45. Il dolore e la commozione dell’Italia intera si riversarono a Roma nei più grandi funerali della Storia d’Italia e nel successo del PCI alle elezioni europee, dove divenne per la prima e unica volta il primo partito d’Italia, con il 33,3% dei consensi.
“I Giorni della Vendemmia“, di Marco Righi, non è un film su quei giorni. Non è un film su Enrico. Si colloca temporalmente tre mesi dopo quella tragica perdita, ma sin dai primissimi minuti del film la sua presenza è nell’aria.
Elia (Marco D’Agostin) ha 16 anni e vive con i suoi genitori in una vecchia casa rurale nella campagna emiliana. Suo padre, militante comunista, da tre mesi rilegge di continuo quell’edizione speciale dell’Unità che annunciava la morte di Enrico; sua madre, cattolica convinta, organizza spesso in casa ritiri spirituali. Ha un fratello, Samuele (Gian Marco Tavani), che irromperà sulla scena più tardi, ma è lontano, “non fa un cazzo“, come spiega il giovane alla bella Emilia (Lavinia Longhi), nipote di due compaesani con una laurea alle porte e il bisogno di lavorare. In realtà Samuele gira l’Europa, scrive.
Un film essenziale, prodotto senza finanziamenti pubblici, girato in 14 giorni, con una location, cinque attori e tre comparse: è costato meno di 30 secondi di uno spot televisivo, ma ha già vinto numerosi premi e riconoscimenti internazionali. E, soprattutto, dura 80 minuti, è un film vero e proprio.
Un film che meriterebbe di essere distribuito in tutte le sale cinematografiche, a fronte della spazzatura culturale che circola e che ci propinano, ma che rischia di rimanere inosservato. Del resto, questo è il paese dei Moccia e fino all’altro giorno di Berlusconi (e rimane impregnato di berlusconismo).
Il film, comunque, sta girando un po’ di sale cinematografiche d’Italia. Sul suo sito potete trovare informazioni sulle proiezioni in programma nella vostra città. Merita davvero. E vi dirò: è il più bell’omaggio che abbia mai visto ad Enrico Berlinguer, nonostante tutto.
Il più bello perché ha il sapore autentico della passione e del disinteresse.